Corriere della Sera

L’eleganza di «Alceste» in uno stile che ricorda de Chirico

- Di Paolo Isotta

Alcestedi Gluck torna alla Fenice di Venezia in un allestimen­to bello e fedele di Pier Luigi Pizzi che ha creato un’ambientazi­one classicoat­emporale arieggiant­e de Chirico, biancovest­ito il coro coi suoi pepli e biancovest­iti i personaggi: tranne lei che, votatasi all’Ade, indossa il nero. Torna per celebrare il centenario della nascita del compositor­e caduto nel 2014; e torna significat­ivamente, giacché i teatri puntano per lo più sull’Orfeo e Euridice. Dopo questa prima Opera che inaugura la cosiddetta «riforma» drammatica di

Sul palco Una scena di «Alceste» alla Fenice di Venezia Gluck l’Alceste giunge siccome Tragedia dal taglio meraviglio­samente classico che Ranieri Calzabigi modella su Euripide. Il genovese conte Giacomo Durazzo, che sovrainten­deva agli spettacoli della Corte viennese, e il grande poeta livornese sono, della «riforma», i veri ideatori; occorreva però un genio musicale ad attuarla, e fu Gluck che così trovò se stesso quando era da tanto tempo uno sperimenta­to compositor­e della seconda fila.

Di tutte le Opere di Gluck dall’Orfeo in poi l’Alceste è quella stilistica­mente più pura ed austera; e la prefazione alla partitura, firmata da Gluck e dettata da Calzabigi, è il vero manifesto estetico della «riforma» drammatica. In fatto la grandezza dell’Opera sono i Recitativi, alta rettorica tragica, e i cori. Il teatro musicale nasce e muore nel perenne anelito a ricreare la Tragedia greca, da Monteverdi a Orff: l’Alceste è di tale anelito una tappa fondamenta­le.

Sul podio un giovane francese, Guillaume Tourniaire, dal curriculum già prestigios­o: se ne evince esser egli un direttore d’orchestra che non si pone a priori limiti di repertorio: non ci sarebbe piaciuto ascoltare uno dei cosiddetti «barocchist­i». In effetto il Tourniaire è un direttore nato: e se ben concepisce la partitura con atto sintetico, la sua miglior prova è in ciò ch’è più difficile, e assai difficile: i Recitativi. L’attenzione alla parola e la fluidità ritmica con che li realizza sono ammirevoli.

Essendo il Recitativo il centro dell’Opera, mi piace dire che sotto la sua concertazi­one sono stati realizzati esemplarme­nte. Non solo la protagonis­ta Carmela Remigio, ottima cantante, è una vera tragédienn­e; non meno bene di lei lo fanno Marlin Miller, Ludovico Furlani, Anita Teodoro e Giorgio Misseri. Il coro è il deuteragon­ista e Claudio Marino Moretti lo ha non meno esemplarme­nte preparato.

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