Nell’arte delle lettere il lusso dell’esitazione
Scrivere lettere a mano è un gesto antico di secoli. La pratica della corrispondenza epistolare vera e propria comincia nel Duecento e a volte diventa un’arte. Più o meno un secolo dopo cominciano a scrivere lettere (o a dettarle) anche le donne. Dal 1357 Margherita Datini vergò centinaia di epistole dirette al marito Francesco, il cosiddetto Mercante di Prato, che in viaggio perpetuo rispondeva regolarmente, al punto da lasciare alla sua morte un ricchissimo archivio epistolare che verrà trovato nell’Ottocento in un recesso segreto del suo palazzo. Narrano che nel 1370 Caterina da Siena, riavutasi da un’estasi, prese a dettare lettere alla sua «bella brigata» di amici e di fedeli, e in dieci anni ne partorì 380, prendendosi anche i rimproveri di chi considerava quella pratica comunicativa un segno di grafomania e di eccessivo protagonismo. Ma è nell’Ottocento che la corrispondenza, esattamente come la lettura dei romanzi sentimentali, prende il volo nella piccola e nella grande borghesia. Le donne leggono e scrivono più degli uomini. La lettera, il dipinto di Federico Zandomeneghi, è un delicato capolavoro che testimonia a futura memoria il momento della scrittura intima declinato al femminile: un profilo di ragazza, la lunga coda di cavallo nera che le cade sulle spalle, la mano sul mento ad accompagnare l’intensità della circostanza, lo sguardo fisso sul foglio ancora bianco, in una concentrazione che produrrà parole, frasi, pensieri, probabilmente spasimi d’amore: l’eleganza e la modernità della posa, una gamba accavallata sull’altra sotto l’ampia veste rosa, la bianchissima camicia da notte, le ciabatte rosse, unico elemento che infrange la discrezione di un interno domestico tutto velluti, tende, carta da parati. Un’armonia di linee, di colori soffusi, di luci e di ombre, che culmina in quel foglio, o meglio in quel braccio destro e in quella penna appena intinta nell’inchiostro e chiusa morbidamente tra le dita incerte della giovane donna. Un’opera sul tempo, che racconta l’attimo di un’esitazione, di una sospensione, di un’incertezza del pensiero che oggi non possiamo più permetterci.