Carlomaurizio Montecucco
Ordinario di reumatologia Università di Pavia, Policlinico San Matteo i solito si comincia con le mani e i polsi: le piccole articolazioni fanno male, si gonfiano e al risveglio sono rigide, ci vuole almeno un’ora per iniziare a carburare. È questa la fase iniziale dell’artrite reumatoide, malattia su base autoimmune che in Italia colpisce circa 300 mila persone. Può arrivare a qualsiasi età, ma più spesso tra i 40 e i 60 anni e nelle donne.
«Alla base c’è un’alterazione del sistema immunitario, dovuta a fattori in parte genetici e in parte ambientali, come fumo e infezioni. Il risultato è un’infiammazione della membrana sinoviale, il rivestimento interno delle nostre articolazioni mobili. Tale membrana è ricca di vasi e produce il liquido sinoviale, che nutre e lubrifica le strutture articolari — spiega Carlomaurizio Montecucco, ordinario di reumatologia all’Università di Pavia, Policlinico S. Matteo —. Quando si instaura l’artrite reumatoide alcune cellule del sistema immunitario invadono la membrana sinoviale e rilasciano sostanze ( citochine) che attivano il processo infiammatorio. Ciò comporta un aumento del liquido sinoviale e un ispessimento della membrana, che causano il classico gonfiore articolare; caratteristico è, per esempio, quello delle dita. Il perdurare dell’infiammazione può danneggiare la cartilagine articolare e l’osso sottostante, che viene eroso in profondità». Quali sono i sintomi? «Dolore, anche notturno, rigidità mattutina per almeno un’ora e tumefazioni locali. In genere le articolazioni colpite per prime sono quelle di mani e polsi, sebbene possano essere attaccate anche ginocchia, piccole articolazioni dei piedi, caviglie, gomiti, spalle, anche le prime due vertebre della colonna. Altro segnale è la simmetria: se, per esempio, è colpita una mano, nel giro di qualche giorno lo sarà anche l’altra. Esistono poi sintomi meno specifici come febbricola e stanchezza generale. A lungo andare se non si interviene possono risentirne tendini e legamenti. Non solo: si possono avere ricadute negative su tutto l’organismo a partire da cuore, arterie, nervi e polmoni». Esiste un test specifico per diagnosticarla? «Per la diagnosi bisogna valutare la storia clinica, osservare le articolazioni e prendere nota dei sintomi, nonché richiedere alcuni esami di laboratorio che possono aiutare a completare il quadro. Tra questi rientrano il fattore reumatoide (che può però anche essere positivo in soggetti sani e negativo in malati), gli indici di infiammazione, come Ves e Pcr, e, soprattutto, gli anticorpi antiproteine citrullinate, che possono essere negativi in diversi casi di artrite reumatoide, ma che quando positivi possono indicare una malattia più aggressiva. Si può fare un’ecografia per valutare l’infiammazione della membrana sinoviale, il primo danno che si manifesta nell’artrite reumatoide, mentre la radiografia serve soprattutto nelle fasi avanzate, quando è stato ormai intaccato l’osso». Quali sono le cure? «L’obiettivo è spegnere la malattia, arrestandone la progressione. Fondamentale è instaurare al più presto una terapia con i cosiddetti DMARDs, farmaci in grado di modificare l’evoluzione della patologia. In fase iniziale si devono fare controlli ogni tre mesi e se si vede che un solo farmaco (nella maggior parte dai casi si parte con il metotrexate) non ha l’effetto atteso, se ne aumentano le dosi o se ne associa un altro. Nei casi più aggressivi, che non rispondono all’uso dei medicinali tradizionali, si ricorre ai farmaci biologici, che possono essere prescritti solo in centri autorizzati».