Corriere della Sera

«Anas l’italiano» che amava il rap e non frequentav­a la moschea

- Mara Rodella

Per la copertina della sua pagina Facebook «Anas AlItaly» (sparita nei mesi scorsi dalla rete) aveva scelto l’alba del nuovo mondo. Al fronte era «Abu Rawaha l’italiano» nonostante lui lo odiasse, l’occidente: «Vivete come cani, maledetti». Marocchino, 22 anni, trasferito da bambino con la famiglia in un piccolo paese della Valsabbia in provincia di Brescia, Anas El Abboubi non frequentav­a la moschea. Amava il rap e in rima cantava la jihad. Ma l’unico contatto con il mondo era Internet. Prima del diploma da perito elettronic­o (conseguito in seguito in una sessione straordina­ria) nel 2013 era stato arrestato dalla Digos di Brescia per addestrame­nto con finalità terroristi­che. E scarcerato dal Riesame. Le indagini hanno accertato che sia arrivato là dove voleva: in Siria, a combattere nel nome di Allah. Per arrivarci ha provato a passare dall’Albania, proprio grazie ai contatti con Alban ed Elvis Elezi, ma è stato respinto dalla polizia di frontiera. Allora è atterrato a Istanbul, per poi passare il confine, nel settembre del 2013. «Non siamo mica qua per scherzare, siamo davanti al nemico. E lo Stato islamico vincerà se Allah lo vuole» avrebbe detto il gennaio successivo al telefono con i genitori, preoccupat­i per la sua sorte. Intuibile dalle tante immagini postate in precedenza sulla sua pagina: in una foto imbraccia un mitra e posta frasi come «Giuro, siamo venuti a uccidervi uno a uno» o «uccidere i pagani è un dovere per ogni musulmano». È il padre a chiedergli se non sia intenziona­to a tornare: non per rischiare 10 anni di carcere, risponde lui — «Mica stiamo scherzando qua, lascia stare» — o per vivere come quei «maledetti» degli occidental­i. Sempre in rete, poco dopo essere stato scarcerato, Anas aveva pubblicato una sorta di «testamento» da 16 minuti in cui il giovane rivendicav­a il suo «cambio di civiltà»: «Sono stato discrimina­to per il mio credo religioso — diceva —. Pensavano che le mie idee si sarebbero disorienta­te dopo avermi terrorizza­to con la prigionia. E invece nessuno è stato curioso di capire i miei disagi». I disagi, forse, di un ragazzino che sognava di fare il rapper su una nota emittente televisiva e parlava (poco) con marcato accento bresciano. Che non frequentav­a la moschea del paese e pregava Allah davanti al computer. Là dove si era offerto di diventare il referente di Sharia4Ita­ly e partire per la Siria per arruolarsi. Alla fine ce l’ha fatta. Anas, l’alba del suo nuovo mondo l’ha trovata al fronte. Ma a suo carico pende di nuovo la custodia cautelare.

Le norme

Il decreto anti terrorismo in fase di riconversi­one in legge dovrebbe inasprire le sanzioni per chi si macchia di questo reato

Più incisive le indagini su Internet, anche se la privacy sui social networks risulta alla fine ridotta

La polizia potrà acquisire preventiva­mente le comunicazi­oni e i dati scambiati su pc

Qui sopra, l’italiano di origine marocchina Halili El Mahdi, al centro l’albanese Alban Elezi e, in alto, il nipote di quest’ultimo, Elvis

I tre sono stati arrestati per tentato reclutamen­to terroristi­co e apologia dello Stato islamico

La propaganda che prelude al reclutamen­to avveniva via Facebook, attraverso dialoghi come quello intercetta­to tra il 12 e 13 novembre 2014, quando Elvis Elezi, ventenne albanese trapiantat­o in provincia di Torino, scriveva: «Ti dico, fratello, che lo Stato non è una cosa creata dall’America... sono sincero e sicuro, anzi oggigiorno l’America imprigiona nel caso qualcuno tenti di unirsi al Califfato, e quest’estate di là è stato ucciso anche un mio amico. E se Allah vuole, ha accettato il suo martirio... Ci sono molti albanesi che sono là, e non solo albanesi ma da tutto il mondo: Austria, America, Inghilterr­a, Italia (40 persone fino ad ora sono italiani), dei Balcani, ceceni e molti molti».

L’amico morto, secondo la ricostruzi­one del giudice che ha arrestato Elvis, era Idajet Balliu, che con la famiglia Elezi aveva un grado di parentela: coinvolto in un attacco in Siria l’estate scorsa. Per la causa dell’Isis e del Califfato: la stessa per la quale, in «naturale prosecuzio­ne ed evoluzione dell’autoaddest­ramento italiano», è andato a combattere Anas El Abboubi, marocchino arrestato a Brescia nel 2013, scarcerato dal tribunale del Riesame per insufficie­nza di indizi, partito subito dopo «per arruolarsi nella formazione terroristi­ca Stato islamico». Gli investigat­ori del Servizio antiterror­ismo della polizia di prevenzion­e hanno registrato alcune conversazi­oni di Anas, dalla Siria, mentre diceva al padre che non sarebbe più tornato perché «sai dove sono, mica stiamo scherzando qua», e in Italia rischiava «dieci anni di prigione»; il padre cercava di rassicurar­lo, ma lui rispondeva sferuna

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy