Le conversazioni via Facebook «Reclutati quaranta italiani»
Le intercettazioni degli aspiranti «martiri» per il Califfato
zante: «Lo chiami modo di vita che un essere umano potrebbe vivere, là? Vivi come loro, come un cane. Maledetti!». I tabulati telefonici hanno registrato diversi contatti di Anas con Elvis e Alban Elezi. Ma l’episodio per cui il magistrato ha mandato in carcere zio e nipote è il tentato reclutamento di Mahmoud Ben Ammar, minorenne di origini tunisine residente nel comasco, che aspettava di compiere 18 anni per andare a combattere la jihad. «Fratello, apro Al fronte Una foto di Anas El Abboubi marocchino arrestato a Brescia nel 2013 e scarcerato dal tribunale del Riesame per insufficienza di indizi parentesi per il hur, che tu sei l’unico mio sostegno di cui mi posso fidare » , scriveva Mahmoud a Elvis. Per il giudice, «il riferimento all’hur non appare casuale», poiché secondo la tradizione islamica sarebbe il paradiso con le giovani donne riservato ai martiri. Secondo altri colloqui registrati Elvis sarebbe voluto andare a combattere in Iraq, mentre il minorenne preferiva la «Dawla», termine interpretato come lo Stato islamico in Siria,«e da lì avrebbe raggiunto l’hur».
I poliziotti dell’Antiterrorismo hanno intercettato conversazioni tra il giovanissimo Mahmoud e i genitori. Il 22 dicembre scorso il padre era preoccupato: «Tu che vuoi andare al jihad, chi conosci lì? Ti manderanno i principi... quelle persone che stanno dietro una scrivania e predicano, e mandano altri a fare il jihad. Perché non ci va lui?». La madre preferirebbe che il figlio combattesse un’altra guerra: «Quando conquistano la Siria e entrano in Palestina ti mando. È una guerra contro Israele, e non combatti contro gli arabi».
Anche l’italiano figlio di marocchini El Mahdi Halili, arrestato per «apologia dello Stato Islamico, associazione con finalità di terrorismo internazionale», è giovanissimo. Ha compiuto vent’anni il primo gennaio e pochi giorni prima, secondo l’accusa, aveva messo in rete un lungo proclama a sostegno dell’Isis. «Non deve trarre in inganno la forma del documento diffuso sul Web — scrive il giudice — che tratta non tanto l’attività terroristica in senso stretto quanto i “servizi” offerti dallo Stato islamico mentre i “soldati” si recano a combattere per “adempiere all’ordine di Allah”. Si tratta infatti di una forma di apologia subdola e indiretta», che nell’interpretazione del magistrato «risulta particolarmente efficace nella prospettiva del reclutamento e dell’adesione di nuovi soggetti alla causa terroristica, ove si consideri che il messaggio di propaganda si rivolge soprattutto ai giovani musulmani residenti in Italia i quali, sia per le comuni difficoltà di inserimento, sia per la problematica congiuntura economica, si trovano sovente ad affrontare una condizione di emarginazione sociale».