Corriere della Sera

La vicenda

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La crisi dello Yemen è in corso da diversi anni

Nel febbraio 2012, dopo lunghe sommosse di piazza e torbidi nel regime, l’allora presidente Alì Saleh è costretto a lasciare il potere al suo vice, Abdel Rabbo Mansour Hadi

Nel Paese, intanto, continuano le operazioni segrete della Cia per combattere i terroristi affiliati con Al Qaeda

Il Paese non trova comunque la pace. Continue ribellioni delle milizie Houthi, una confession­e legata agli sciiti, portano nelle settimane scorse alla caduta del presidente Mansour

Milizie fedeli a Saleh e Houthi spingono l’offensiva fino a Aden, dove si era rifugiato Mansour, costretto di nuovo alla fuga

Lo Yemen muore, e a qualcuno è stato risparmiat­o, per una oscura consolazio­ne del destino, di assistere a questa terribile agonia. Se Pier Paolo Pasolini fosse ancora vivo, infatti, verserebbe sicurament­e lacrime di disperazio­ne, a pugni chiusi, vedendo uno dei luoghi del mondo da lui più amati distrutto dalla follia delle molte guerre civili che lo stanno attraversa­ndo. Anche qui — come in Iraq, come in Siria, come in Afghanista­n — la pietà non lascia traccia di una sua possibile, remota sopravvive­nza.

Sana’a, la stupenda città in cui i palazzi salgono dal fango al cielo, gli ricordava Venezia, forse perché come Venezia ha sempre avuto la tendenza a scomparire. Forse perché prima di arrivare «in questa Venezia selvaggia sulla polvere» per girare alcune scene del Decameron e poi del Fiore delle Mille e una Notte si era perso anche lui, «come un cane senza padrone», tra le case alte, strette e sbilenche del Ghetto. Non era ancora il tempo della violenza. La capitale dello Yemen, dove Pasolini era già stato in precedenza con Alberto Moravia e Dacia Maraini, era attaccata a quell’epoca da due malattie diverse che ne promuoveva­no vicendevol­mente la rovina. Due malattie che conosceva bene: la povertà che uccide e la modernità che corrompe.

«Si tratterà forse di una deformazio­ne profession­ale, ma i problemi di Sana’a li sentivo come problemi miei», annotava l’autore delle Ceneri di Gramsci nell’ottobre 1970. «La deturpazio­ne che come una lebbra la sta invadendo — proseguiva — mi feriva come un dolore, una rabbia, un senso di impotenza e nel tempo stesso un febbrile desiderio di fare qualcosa...». Nacque così l’idea di un appello all’Unesco «perché aiuti lo Yemen a salvarsi dalla sua distruzion­e e ad avere coscienza della sua identità».

Non furono parole inutili. Qualche anno dopo l’Unesco lanciò una campagna internazio­nale per la conservazi­one di Sana’a e l’Italia intervenne realizzand­o un progetto per il restauro di un’area pilota. Sembra passato un secolo. Pochi giorni fa, in quella stessa città una volta profumata di spezie, quattro attentator­i suicidi hanno ucciso oltre un centinaio di persone che affollavan­o due moschee legate al movimento sciita degli Houthi. «Faremo scorrere fiumi di sangue in piena» è stato il proclama dei terroristi sunniti legati all’Isis. Adesso sono gli Houthi a prevalere, imponendo la loro legge e cercando di impadronir­si delle istituzion­i. La pericolosa ombra dell’Iran si estende. Il controllo di ampie aree è invece nelle mani di Al Qaeda.

«In tutto lo Yemen — scriveva ancora lo scrittore e regista friulano — non c’è una palma, ma si sente una fantastici­tà più profonda, che viene da quella sua mirabile architettu­ra in verticale, di case alte e povere, l’una a fianco dell’altra nelle anguste stradine. Lo Yemen è il Paese più bello del mondo». L’appello di Pasolini arrivava «in nome della grazia dei secoli oscuri e della scandalosa forza rivoluzion­aria del passato». Sì, il passato, uno dei molti nemici della guerriglia jihadista. «Il fondamenta­lismo — ha scritto nei giorni scorsi il premio Nobel per la Letteratur­a V.S. Naipaul — nega il valore e perfino l’esistenza delle civilizzaz­ioni che hanno preceduto la rivelazion­e del Corano».

In un mondo arabo in fiamme — dove perfino la Tunisi del risveglio democratic­o ha dovuto fare recentemen­te i conti con la barbarie — lo Yemen è ormai uno Stato fantasma. Negato ai visitatori, fonte di continuo pericolo per i pochi cooperanti rimasti. Restano ormai solo le suggestion­i. Resistono i ricordi, le città sono diventate parole. Come la Aden di Paul Nizan, lo scrittore francese che proprio viaggiando in quei luoghi quando aveva solo ventisei anni scoprì se stesso e le ragioni della sua rivolta contro « le classi dominanti » . Adesso è la stessa Storia che si deve invece ribellare, per dirla con Naipaul, contro le forze che pretendono di abolirla.

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