Corriere della Sera

Beffa dell’Imu agricola L’esenzione scatta al mare, non dove si coltiva

- Andrea Ducci

L’Imu agricola è legge dal 19 marzo. È una delle poche certezze sull’imposta comunale sui terreni. L’altro dato sicuro è che fino al 31 marzo per i pagamenti relativi al 2014 non si pagheranno né sanzioni né interessi. Ma intorno alla tassa introdotta dal governo Renzi gravano insidie di natura politica e amministra­tiva.

Sul primo fronte è noto quanto il Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia e Forza Italia abbiano contestato l’Imu agricola, anche perché concorre con circa 260 milioni di gettito alla copertura del bonus di 80 euro, voluto da Matteo Renzi. Forza Italia ha già annunciato una class action per eliminarla. Il vero rischio però risiede nel ricorso milioni di euro Il gettito previsto dall’imposta municipale Imu per le proprietà agricole. La legge è entrata in vigore il 19 marzo amministra­tivo pendente al Tar del Lazio, generato da una classifica­zione dell’Istat che differenzi­a i comuni in montani, parzialmen­te montani e non montani. Un distinguo che fa la differenza.

Per i comuni montani è prevista l’esenzione totale del versamento dell’Imu agricola. I proprietar­i dei terreni, insomma, non pagano alcunché. Nei comuni parzialmen­te montani l’esenzione esiste, ma solo per i coltivator­i diretti e gli imprendito­ri agricoli profession­ali. Negli altri comuni chi possiede un terreno agricolo deve, invece, pagare la relativa imposta. Tutto chiaro, se non fosse che a stabilire il carattere montano di un comune è la catalogazi­one dell’Istat che presta il fianco al ricorso dell’Anci Lazio. Tanto che ieri l’Istituto statistico, per effetto di un’ordinanza del Tar, ha dovuto depositare una relazione per argomentar­e e chiarire quali siano i criteri utilizzati per classifica­re i comuni montani e non montani. La controvers­ia è alimentata da una semplice ragione: il criterio non è altimetric­o. I comuni, cioè, non sono ordinati in base all’altezza sul livello del mare. Motivo per cui Gesualdo (Avellino), posto a 670 metri di altitudine, secondo l’elenco dell’Istat, non è montano. Lo sono, al contrario, i comuni sardi di Domusnovas e Tratalias sebbene, rispettiva­mente, a trenta e, addirittur­a, zero metri sul livello del mare. Stando così le cose, dunque, sono esentati. Non si tratta di sviste isolate.

La lettura dell’intero elenco Istat restituisc­e una classifica­zione bizzarra. Monte Argentario (Grosseto), località balneare a 5 metri sul livello del mare, è un comune montano. A dispetto del nome però non lo sono, comuni come Montefiasc­one (Viterbo) e Montemilet­to (Avellino) arroccati a 600 metri di altitudine. L’etimologia, del resto, non ha suggerito alcunché ai classifica­tori. Piedimonte Matese (Caserta), malgrado si intuisca collocato ai piedi di una montagna, è un comune montano, mentre Piedimonte Etneo è considerat­o parzialmen­te montano. C’è poi il caso dei Castelli Romani oggetto di un’interrogaz­ione parlamenta­re dei 5 Stelle. I comuni di San Cesareo (312 mt) e Colonna ( 343 mt) sono considerat­i montani, mentre Rocca di Papa (680 mt) e, soprattutt­o, Rocca Priora (768 metri di altitudine e sede della comunità montana) nell’elenco Istat risultano parzialmen­te montani. Proprio come il comune di Roma.

Abbastanza per spingere l’Anci Lazio e una serie di sindaci a non mollare la presa davanti al Tar. Enrico Michetti, l’avvocato che assiste l’Anci, è netto: «Se la relazione dell’istituto di statistica è insoddisfa­cente, nei prossimi giorni chiederemo al Tar la sospensiva immediata o, peggio, ricorrerem­o al Consiglio di Stato».

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