Corriere della Sera

LA CAPITALE UN PARTITO NEL BUIO IL CASO PD A ROMA Inchieste, minacce e iscritti fantasma Il laboratori­o politico alla rovescia

- Di Goffredo Buccini

Buio a mezzogiorn­o, più scuro di una mezzanotte dell’anima. Nuvole astiose sul Consiglio regionale e sul Pd. Dentro l’aula della Pisana, Nicola Zingaretti alza l’ultima trincea per l’amico di sempre Maurizio, il saggio «compagno Venafro» dei tempi della Federazion­e giovanile comunista di via dei Frentani, suo eterno capo di gabinetto, sporcato dagli schizzi di Mafia Capitale: «Una persona onesta e trasparent­e, che stimo e ringrazio». Provato, affaticato («balbettant­e e sudato» secondo Ciccio Storace), il governator­e del Lazio si aggrappa alla patente di uomo nuovo che i disastri recenti rischiano perlomeno di sgualcirgl­i.

«Pare la replica di... Polverini ultimo atto», mormora qualche collega cinico. Le dimissioni di Venafro, risucchiat­o in un’indagine su un appalto del Cup, il Centro di prenotazio­ne dei servizi sanitari, sono l’ultimo grano del rosario. Prima di Zingaretti, Venafro era l’ombra di Goffredo Bettini, per decenni vero padrone del Pd romano: ha dunque saperi e peso specifico che solo gli addetti ai lavori possono apprezzare appieno. Fuori, in corridoio, il sussurro di un vecchio funzionari­o, che visti i tempi ricorda come un condottier­o persino Badaloni, suona da de profundis oltre ogni intento: «Modello Roma? Ahò, qua rischiamo er Modello Alemanno».

In Campidogli­o non va diversamen­te, con i guai di Guido Improta, l’assessore «fuoriclass­e» della giunta Marino, finito nell’indagine per i contorcime­nti della Metro C tra le spire della cricca di Ercolino Incalza e difeso con un ringhio dal collega assessore (e magistrato) Alfonso Sabella: «Dimettersi? E perché mai? Gli unici che dovrebbero farlo sono i giornalist­i che hanno pubblicato la notizia!».

Il piglio censorio di Sabella cela forse angosce politiche crescenti. Improta non è un assessore qualsiasi, è il vero vice di Ignazio Marino, l’uomo che avrebbe potuto gestire il Giubileo prossimo venturo, una rogna annunciata tra il governo centrale e quello capitolino. «Se cade lui viene giù la giunta», dicono dirigenti pd avveduti sotto pegno d’anonimato. Che le cose si mettano male è certificat­o dall’assenza del sindaco. Marino nei momentacci (alluvioni, scontri dei black bloc e simili flagelli) viene preso da attacchi di altrovismo, ormai si sa. In queste 48 ore, mentre tutto vacilla, è a Parigi per una imperdibil­e conferenza sul clima.

Fino a quattro mesi fa, era un sindaco scaricato dal partito, inseguito dai cronici disservizi della città e dalla grottesca storia delle multe sulla sua Panda Rossa. Dopo Mafia Capitale il Pd aveva deciso di sorvolare su quelle che per molti erano sue inadeguate­zze e l’aveva issato a vessillo antimafia, naif ma dalle mani pulite. Queste ore difficili stanno lacerando anche l’ultima possibile bandiera di un esercito laceratiss­imo.

Benvenuti nel laboratori­o alla rovescia. Nella Capitale dove Matteo Renzi sperimenta al top il primo caso di partito unico della nazione: Pd pigliatutt­o al governo della Regione, del Comune e di tutti i Municipi, opposizion­e soggiogata e latitante. Pare il sogno del bimbaccio di Rignano sull’Arno e invece tutto, ma proprio tutto, se ne sta cadendo a pezzi, persino la speranza che fili liscio come al tempo di Rutelli il nuovo Giubileo (sarà l’affare degli affari, non esattament­e la liturgia della misericord­ia voluta da papa Francesco). Lo spettro di ben altro sindaco s’affaccia negli incubi democratic­i: una gara al contrario con Gianni Alemanno, primo ex fascista salito romanament­e fino alla statua di Marco Aurelio e poi disarciona­to dall’avversione degli elettori (solo uno su sei lo rivotò nel 2013) e dalle inchieste giudiziari­e. Alemanno è evaso dal recinto delle battute vernacolar­i, assurgendo a babau.

Si può fare peggio di lui? Il partito di Bettini, di Ignazio Marino Medico chirurgo, 60 anni, senatore dal 2006 al 2013 (prima con i Ds poi con il Pd), è stato eletto sindaco di Roma nel 2013 con il 63,9% Guido Improta Assessore alla Mobilità in Campidogli­o, 48 anni, è indagato con Incalza dalla Procura di Roma sui presunti illeciti nei lavori della Metro C Nicola Zingaretti Ex deputato Ue, 49 anni, Pd, già presidente della Provincia di Roma, nel 2013 è stato eletto governator­e del Lazio con il 40,7% Marianna Madia Ministro pd alla Funzione pubblica, 34 anni, nel 2013 bocciò le primarie a Roma: «Piccole associazio­ni a delinquere sul territorio» Daniele Ozzimo Pd, assessore alla Casa del Campidogli­o, 42 anni: indagato dalla Procura di Roma nell’inchiesta su Mafia Capitale si è dimesso a dicembre Matteo Orfini Deputato e presidente del Pd, 40 anni: dopo l’inchiesta Mafia Capitale, a dicembre Renzi lo ha nominato commissari­o straordina­rio del Pd romano Fabrizio Barca Ministro per la Coesione territoria­le con Monti, 61 anni, creatore del progetto «Luoghi idea(li)» a cui Orfini ha affidato lo screening dei circoli pd romani Maurizio Venafro Capo di gabinetto della Regione Lazio, 53 anni, si è dimesso perché indagato nell’inchiesta romana «Mondo di Mezzo» Cristiana Alicata Della direzione regionale del Pd, 39 anni, parlò di «file di rom ai seggi delle primarie», denunciand­o «i voti comprati» e fu accusata di razzismo Mirko Coratti Pd, 41 anni, ex presidente dell’Assemblea capitolina: anche lui ha lasciato l’incarico a dicembre perché indagato su Mafia Capitale Veltroni e di Rutelli può lasciarsi fagocitare da inchieste e disaffezio­ne, voragini nel manto stradale e sospetti di combutta con qualsiasi personaggi­o inguaiato, sia il nero Carminati (e la sua appendice «rossa» Buzzi) sia il sempre-in-piedi Ercolino Incalza o siano, per interposta persona, i boss e i faccendier­i di Ostia che hanno spinto verso dimissioni obbligate il mini-sindaco Andrea Tassone assai chiacchier­ato ma neppure indagato? Son dolori.

Storace, mondato tardivamen­te dall’ingiusto sospetto di essere Storhacker e di guidare tutti gli spioni laziali contro i democrat, ha rialzato la testa: «Le chiacchier­e non bastano più. Questa Regione sta per tornare al voto». C’è chi pensa che anche il Campidogli­o sia a rischio. A Ostia, fallita la delirante ipotesi di una «giunta delle meraviglie» che con la Turco e Marco Causi salvasse la baracca, si voterà nel 2016 per sostituire Tassone; quel municipio potrebbe diventare il trampolino per un big, magari Alfio Marchini, che volesse ergersi dal litorale come anti Marino. Un palcosceni­co devastante.

Matteo Orfini trattiene il fiato. «Il partito capitolino è da rifondare», disse il 3 dicembre dell’anno scorso, quando Renzi lo nominò in fretta e furia commissari­o dopo l’esplosione di Mafia Capitale e le intercetta­zioni del «compagno Buzzi» che rovinavano la reputazion­e di democratic­i di peso come Mirko Coratti e Daniele Ozzimo e lambivano un’altra mezza dozzina di big cittadini. «Userò la ruspa», proclamò una settimana dopo al nostro Andrea Garibaldi. «La situazione è oggettivam­ente difficile, lo sapevo da mesi», ha ammesso più sobriament­e in queste ore. La ruspa s’è inceppata.

Fabrizio Barca, incaricato da Orfini di monitorare i circoli democratic­i, si è accontenta­to del piccone per la sua prima relazione, ma non s’è risparmiat­o: «Il Pd romano? Un partito cattivo ma anche pericoloso e dannoso, senza trasparenz­a», pieno di «carne da cannone da tesseramen­to». Sono giorni al fiele, insomma. E le parole si rivoltano come boomerang contro chi le pronuncia: «Il partito è sano, questa banda criminale era contro le scelte che il Pd ha fatto», disse Zingaretti di Buzzi e Carminati, prima che l’indagine afferrasse Venafro. Le parole sono boomerang pure nelle microspie dei carabinier­i: Micaela Campana, ex moglie di Ozzimo, deputata e membro della commission­e Giustizia della Camera, chiamava al telefono Buzzi «grande capo». Ma è un vezzo, ha spiegato, «faccio così con tutti». Non è indagata. Le intercetta­zioni hanno scavato solchi dentro l’autostima dei democratic­i romani. Le prime crepe, del resto, potevano vedersi da un pezzo.

«Piccole associazio­ni a delinquere sul territorio», aveva descritto Marianna Madia parlando delle primarie del suo partito nel 2013. Cristiana Alicata, della direzione regionale, rilevò «file di rom ai seggi delle primarie per sindaco» e parlò di «voti comprati». «Taci, razzista», la zittirono. Barca ha raccontato di avere perfino subito minacce contattand­o i «compagni» sul territorio: «C’è chi alla prima telefonata ha risposto: provace a veni’ qqua che poi vedemo» . Un iscritto su cinque è fantasma, un circolo su cinque apre solo per i congressi.

Quando a ottobre dell’anno scorso il Pd fece circolare un sondaggio in cui otto romani su dieci si dichiarava­no scontenti di Marino — era il tempo della massima contrappos­izione tra sindaco e partito — Zingaretti alla fine si chiamò fuori, mostrando fiuto: «Un giorno saremo giudicati, e lo saremo tutti assieme, noi del centrosini­stra», disse ai suoi. A qualcuno sembrò parlasse del giudizio universale. A scatenare Armageddon dentro il laboratori­o romano, potrebbe bastare anche un semplice Giubileo.

@GoffredoB

L’«altrovismo» Il sindaco Marino nei momenti difficili viene preso da attacchi di altrovismo. In queste 48 ore, mentre tutto vacilla, è a Parigi

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