Dalle fattorie galleggianti alla Collina mediterranea
Oltre i padiglioni: 5 grandi aree tematiche per riflettere
Quando Expo ci chiese di lavorare al Future Food District (distretto del futuro) accettammo con entusiasmo, ma anche un po’ di imbarazzo. Profezie e fantascienza ci hanno sempre lasciati indifferenti. Cercare di prevedere il futuro è un esercizio spesso futile, che distoglie dall’oggi senza aiutarci realmente a capire meglio il domani.
Pensate a quante profezie del passato sono rimaste lettera morta. Oggi sorridiamo pensando alle macchine volanti e ai marciapiedi semoventi immaginati da Thomas Anderson a inizio ’900, in una sua futuristica descrizione della vita metropolitana alla fine del XX° secolo. O ricordando le pillole nutritive liofilizzate auspicate dagli scienziati qualche decennio fa (la stessa Expo, dedicata al cibo nelle sue varietà, ci ricorda quanto sia diverso oggi il nostro rapporto con l’alimentazione). Le previsioni mancate sul futuro sono così numerose e pittoresche che in alcuni casi costituiscono un vero e proprio luogo narrativo: il paleofuturo.
Come non cascarci dentro nell’affrontare il tema assegnatoci da Expo? Diceva Herbert Simon che «la scienza si occupa del mondo com’è, mentre il design esplora come potrebbe essere». In questa definizione del design (inteso nell’accezione anglosassone di progetto) si intuisce un possibile, diverso rapporto col futuro. Non l’inutile rincorsa della previsione, bensì un’occasione di sperimentazione per accelerare la trasformazione del presente.
Qualcosa di simile all’idea di «anticipatory design» (o progettazione preventiva) teorizzata nel ventesimo secolo dal grande inventore americano
Ortaggi coltivati su fattorie-piattaforma in mezzo al mare. Maxischermi in cui calarsi come dentro un’astronave-laboratorio per vedere le ultime ricerche sui virus. Serre oceaniche galleggianti che si autoproducono l’acqua dolce con dissalatori solari da centinaia di litri al giorno. E poi le proteine che ci salveranno la vita in futuro, quando alleveremo a dovere le quasi duemila specie di vermi, larve e insetti commestibili presenti sulla terra. Preoccupati?
Non siatelo. È solo un anticipo di quel che forse tra alcuni anni non ci stupirà neanche più, ma che già ora sarà messo in mostra nella Exibition Area del distretto del futuro: una delle cinque «aree tematiche» le quali, probabilmente più di ogni altra realizzazione tra le tante messe in cantiere, davvero rappresentano l’idea per cui l’Expo 2015 aspira a essere molto altro che non una pura antologia di padiglioni e ristoranti. D’accordo, è stata una evoluzione progressiva. Le prime edizioni ottocentesche dell’Expo erano competizioni tra Paesi, poi divennero fiere campionarie delle novità, morte le quali sono via via diventate nell’ultimo quarto di secolo sempre più «tematiche», appunto: dagli «oceani» di Lisbona alla «qualità della vita» di Shanghai. Ma forse mai come questa volta il «tema» in sé — Nutrire il Pianeta — era stato vero protagonista. Di qui l’idea di allestire, oltre ai padiglioni dei singoli Paesi, non solo i cluster che dividessero il tema in capitoli — dal cacao alle spezie, dai deserti alle isole — ma anche queste cinque aree specifiche per sottolinearne ancora meglio altrettanti aspetti. Secondo un disegno comunque complessivo. Tanto che le cinque aree tematiche in questione hanno un unico direttore, che si chiama Matteo Gatto. Il loro scopo principale — dice — non è fornire ai visitatori risposte ma suggeriideale re domande. Il primo spazio di questo genere è il Padiglione Zero pensato da Davide Rampello e Michele De Lucchi. È quello che farà da introduzione all’intera esposizione, raccontando la storia dell’uomo dalla caccia primordiale per sopravvivere sino ai grandi squilibri del mondo attuale. Il secondo è il Future Food District di cui si parla ampiamente in questa pagina.
Il terzo è il Biodiversity Park, realizzato in collaborazione con BolognaFiere e FederBio oltre ai ministeri dell’Agricoltura e dell’Ambiente: un parco di 8.500 metri quadri comprendente un teatro più due padiglioni, uno sul tema del biologico e l’altro contenente una mostra sulla biodiversità. Parco e mostra sono una antologia di specie diverse, sia a livello mondiale sia soprattutto italiano dopo che l’Unione Europea ha indicato in un Paese che solo in Sicilia — per dire — ha 23 tipi diversi di olive un possibile modello Sì, coltivare La fattoria galleggiante è un progetto del Laboratorio di Neurobiologia Vegetale e della start-up Pnat dell’Università di Firenze (www.linv.org, www.pnat.net) cui tendere. Appendice naturale di questa area sarà la Collina mediterranea, alta 15 metri, dove attraverso Slowfood il tema della biodiversità sarà trattato non più sul fronte agricolo bensì di un prodotto derivato come i formaggi.
Quindi il Children Park per i bambini. Progettato da Reggio Children con la guida di Sabina Cantarelli: otto installazioni per giocare con il gusto e l’olfatto imparando a «riconoscere» il cibo anche come relazione tra persone.
Infine l’area intitolata «Arts & Foods», curata da Germano Celant e dedicata al cibo nell’arte dal 1851 della prima Expo sino a oggi, con pezzi che vanno da Andy Warhol allo spremiagrumi di Stark: unico padiglione fisicamente fuori dallo spazio Expo, sarà inaugurato l’8 aprile alla Triennale di Milano ma sarà a tutti gli effetti «un pezzo dell’Expo in città».
Opportunità Il Children Park avrà 8 installazioni sul cibo come relazione. L’area Art& Food in Triennale sarà l’unico «pezzo di Expo» in città