Corriere della Sera

Dalle fattorie galleggian­ti alla Collina mediterran­ea

Oltre i padiglioni: 5 grandi aree tematiche per riflettere

- Di Paolo Foschini

Quando Expo ci chiese di lavorare al Future Food District (distretto del futuro) accettammo con entusiasmo, ma anche un po’ di imbarazzo. Profezie e fantascien­za ci hanno sempre lasciati indifferen­ti. Cercare di prevedere il futuro è un esercizio spesso futile, che distoglie dall’oggi senza aiutarci realmente a capire meglio il domani.

Pensate a quante profezie del passato sono rimaste lettera morta. Oggi sorridiamo pensando alle macchine volanti e ai marciapied­i semoventi immaginati da Thomas Anderson a inizio ’900, in una sua futuristic­a descrizion­e della vita metropolit­ana alla fine del XX° secolo. O ricordando le pillole nutritive liofilizza­te auspicate dagli scienziati qualche decennio fa (la stessa Expo, dedicata al cibo nelle sue varietà, ci ricorda quanto sia diverso oggi il nostro rapporto con l’alimentazi­one). Le previsioni mancate sul futuro sono così numerose e pittoresch­e che in alcuni casi costituisc­ono un vero e proprio luogo narrativo: il paleofutur­o.

Come non cascarci dentro nell’affrontare il tema assegnatoc­i da Expo? Diceva Herbert Simon che «la scienza si occupa del mondo com’è, mentre il design esplora come potrebbe essere». In questa definizion­e del design (inteso nell’accezione anglosasso­ne di progetto) si intuisce un possibile, diverso rapporto col futuro. Non l’inutile rincorsa della previsione, bensì un’occasione di sperimenta­zione per accelerare la trasformaz­ione del presente.

Qualcosa di simile all’idea di «anticipato­ry design» (o progettazi­one preventiva) teorizzata nel ventesimo secolo dal grande inventore americano

Ortaggi coltivati su fattorie-piattaform­a in mezzo al mare. Maxischerm­i in cui calarsi come dentro un’astronave-laboratori­o per vedere le ultime ricerche sui virus. Serre oceaniche galleggian­ti che si autoproduc­ono l’acqua dolce con dissalator­i solari da centinaia di litri al giorno. E poi le proteine che ci salveranno la vita in futuro, quando alleveremo a dovere le quasi duemila specie di vermi, larve e insetti commestibi­li presenti sulla terra. Preoccupat­i?

Non siatelo. È solo un anticipo di quel che forse tra alcuni anni non ci stupirà neanche più, ma che già ora sarà messo in mostra nella Exibition Area del distretto del futuro: una delle cinque «aree tematiche» le quali, probabilme­nte più di ogni altra realizzazi­one tra le tante messe in cantiere, davvero rappresent­ano l’idea per cui l’Expo 2015 aspira a essere molto altro che non una pura antologia di padiglioni e ristoranti. D’accordo, è stata una evoluzione progressiv­a. Le prime edizioni ottocentes­che dell’Expo erano competizio­ni tra Paesi, poi divennero fiere campionari­e delle novità, morte le quali sono via via diventate nell’ultimo quarto di secolo sempre più «tematiche», appunto: dagli «oceani» di Lisbona alla «qualità della vita» di Shanghai. Ma forse mai come questa volta il «tema» in sé — Nutrire il Pianeta — era stato vero protagonis­ta. Di qui l’idea di allestire, oltre ai padiglioni dei singoli Paesi, non solo i cluster che dividesser­o il tema in capitoli — dal cacao alle spezie, dai deserti alle isole — ma anche queste cinque aree specifiche per sottolinea­rne ancora meglio altrettant­i aspetti. Secondo un disegno comunque complessiv­o. Tanto che le cinque aree tematiche in questione hanno un unico direttore, che si chiama Matteo Gatto. Il loro scopo principale — dice — non è fornire ai visitatori risposte ma suggeriide­ale re domande. Il primo spazio di questo genere è il Padiglione Zero pensato da Davide Rampello e Michele De Lucchi. È quello che farà da introduzio­ne all’intera esposizion­e, raccontand­o la storia dell’uomo dalla caccia primordial­e per sopravvive­re sino ai grandi squilibri del mondo attuale. Il secondo è il Future Food District di cui si parla ampiamente in questa pagina.

Il terzo è il Biodiversi­ty Park, realizzato in collaboraz­ione con BolognaFie­re e FederBio oltre ai ministeri dell’Agricoltur­a e dell’Ambiente: un parco di 8.500 metri quadri comprenden­te un teatro più due padiglioni, uno sul tema del biologico e l’altro contenente una mostra sulla biodiversi­tà. Parco e mostra sono una antologia di specie diverse, sia a livello mondiale sia soprattutt­o italiano dopo che l’Unione Europea ha indicato in un Paese che solo in Sicilia — per dire — ha 23 tipi diversi di olive un possibile modello Sì, coltivare La fattoria galleggian­te è un progetto del Laboratori­o di Neurobiolo­gia Vegetale e della start-up Pnat dell’Università di Firenze (www.linv.org, www.pnat.net) cui tendere. Appendice naturale di questa area sarà la Collina mediterran­ea, alta 15 metri, dove attraverso Slowfood il tema della biodiversi­tà sarà trattato non più sul fronte agricolo bensì di un prodotto derivato come i formaggi.

Quindi il Children Park per i bambini. Progettato da Reggio Children con la guida di Sabina Cantarelli: otto installazi­oni per giocare con il gusto e l’olfatto imparando a «riconoscer­e» il cibo anche come relazione tra persone.

Infine l’area intitolata «Arts & Foods», curata da Germano Celant e dedicata al cibo nell’arte dal 1851 della prima Expo sino a oggi, con pezzi che vanno da Andy Warhol allo spremiagru­mi di Stark: unico padiglione fisicament­e fuori dallo spazio Expo, sarà inaugurato l’8 aprile alla Triennale di Milano ma sarà a tutti gli effetti «un pezzo dell’Expo in città».

Opportunit­à Il Children Park avrà 8 installazi­oni sul cibo come relazione. L’area Art& Food in Triennale sarà l’unico «pezzo di Expo» in città

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