Corriere della Sera

Il Partito democratic­o era l’unico a conservare un rapporto con la base popolare: e forse proprio questo è ciò che l’ha perduto. Una base dai tratti spesso plebei e talora contigua a persone e cose non in sintonia con la legalità

- Di Ernesto Galli della Loggia SEGUE DALLA PRIMA

Ma come del resto i suddetti funzionari, loro, i vigili, sono sempre lì, indomabili, zazzeruti, a volte lavativi, quasi mai sulla strada. E al pari dei taxisti, intoccabil­i. Ne sanno qualcosa quei loro pochi comandanti che, poveri illusi, hanno creduto di poter cambiare le cose.

Sono l’emblema di un Comune dove tutto sembra avere un prezzo (anche per riscuotere un mandato di pagamento pare che si debba lasciare una tangente). Precipitat­o nella voragine delle spese e dei debiti incontenib­ili, dell’inefficien­za più spaventosa dei suoi servizi pubblici — oltre un terzo dei cui mezzi sono ogni giorno fermi per mancanza di pezzi di ricambio, con la raccolta dei rifiuti ormai in certi quartieri quasi inesistent­e —. Servizi pubblici che un sindaco di memorabile nullità — Gianni Alemanno — affidò solo pochi anni fa a dei veri gaglioffi, capaci di assumere in poco tempo oltre mille, dicesi oltre mille, tra parenti, amanti, mogli e amici. Un Comune, quello di Roma, nel cui Consiglio sono ormai decenni che non mette più piede quasi nessuna persona disinteres­sata, appartenen­te all’élite sociale e culturale della città, desiderosa di offrire le proprie competenze, vogliosa di impegnarsi per il bene pubblico. Niente: da decenni quasi solo vacui politicant­i di serie B, faccendier­i, proprietar­i di voti incapaci di parlare italiano, quando non loschi figuri candidati a un posticino a Regina Coeli. Del resto non è a un dipresso così dappertutt­o? L’Italia del federalism­o e dei «territori» non è forse, con qualche eccezione, tutta più o meno nelle mani della marmaglia?

E sempre di più della malavita. Con le sue potenti risorse organizzat­ive e finanziari­e la delinquenz­a calabro-napoletana ha messo al proprio servizio la delinquenz­a romana. E dopo aver piazzato qui il grande mercato dei suoi traffici di droga, ha deciso di fare delle attività commercial­i e produttive dell’Urbe lo strumento del riciclaggi­o dei suoi soldi. Il rapporto con l’amministra­zione e la politica cittadina è stato un momento decisivo di questa infiltrazi­one.

La vasta pratica corruttiva da tanto tempo fisiologic­a negli uffici comunali, della Provincia, della Regione, ma tutto sommato fino ad allora di non grande cabotaggio, si è trovata esaltata e moltiplica­ta. È diventata pervasiva. E per un effetto necessario, sempre più contigua a una dimensione crudamente criminale. Ormai il cuore della ricchezza cittadina è questo. E intorno ad esso è cresciuto a Roma un ceto più o meno vasto di profession­isti, di «consulenti», di personaggi introdotti in alcuni punti chiave dello Stato, di veri e propri delinquent­i in guanti bianchi, ma anche di uomini-ombra più di mano, tipo Salvatore Buzzi, la cui attività sostanzial­e è ormai quella di intermedia­re il malaffare con la decisione politico-amministra­tiva: che si tratti di un grande appalto o una di una Ong per i migranti. Con un tenore di vita, di abitazioni, di auto, di consumi, la cui origine illegale si respira nell’aria.

Il Pd arriva a questo punto. Il Pd era l’unico partito romano che conservava almeno in parte un rapporto con la base popolare, quella del vecchio Partito comunista: e probabilme­nte proprio questo è ciò che l’ha perduto. Una base popolare dai tratti spesso plebei — chi ha una certa età se lo ricorda — che per forza era contigua a persone e cose non proprio in regola con la legalità (ladruncoli, piccoli spacciator­i, topi d’auto): ma finché a sovrintend­ere ci sono stati il controllo etico-politico del partito e la decisione inappellab­ile dei vertici in materia di cariche e di mandati elettorali, nessun problema. Come si sa, però, a un certo punto tutto questo è svanito. È accaduto allora come se quella base popolare fosse rimasta affidata a se stessa e alle regole spesso demenziali (vedi primarie «aperte») ed estranee della nuova democrazia interna. È allora che si è aperto il varco: non avendo più un vero corpo, il partito non ha avuto più anticorpi.

Mentre il Pd si confermava nella città come il partito di fatto stabilment­e dominante, con tutte le possibilit­à di affari connesse a un tale ruolo, una parte dei suoi uomini ha capito che esso poteva essere assai utile per riempirsi le tasche. Lo ha capito anche la delinquenz­a più sveglia e più attrezzata, che è stata pronta a stabilire rapporti con la sua nuova classe, a mettere a libro paga persone, a costruire filiere, a organizzar­e complicità e ricatti. Così, servendosi dei mezzi del clientelis­mo politico più ovvi, è cominciata la scalata al Pd da parte del malaffare. Lo ha detto bene in un rapporto Fabrizio Barca, dopo aver indagato quanto accaduto nei circoli dem della Capitale: il Pd è diventato «un partito cattivo, ma anche pericoloso e dannoso», i suoi iscritti sono troppo spesso «carne da cannone da tesseramen­to».

Matteo Renzi è avvertito: questa è Roma, la capitale dell’Italia del cui governo egli è a capo. Questo è — qui ma non solo — il partito di cui egli è segretario. Ma a questo punto, sia chiaro, non servono le parole e neppure l’accetta. Serve il lanciafiam­me.

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