Corriere della Sera

Il pamphlet di Tomaso Montanari (Einaudi) Giù le mani private dai Beni culturali Ma l’alternativ­a è una fragile utopia

- Di Pierluigi Panza

impegno che caratteriz­za lo storico d’arte e critico militante Tomaso Montanari lo porta nel suo ultimo j’accuse ( Privati del patrimonio, Einaudi, pp. 166, 12) a fissare in un episodio del ‘600 il mito fondativo del rapporto che dovremmo stringere con i Beni culturali. È l’episodio dei contadini della Val Brembana che rifiutaron­o di cedere quadri in cambio di fieno durante una carestia. È un archetipo condivisib­ile, come lo è l’idea che sia il «patrimonio a farci nazione non per via di sangue, ma per via di cultura» (dal che deriva che intendiamo restare una nazione, senza cedere quote di sovranità). Condivisib­ili sono molte altre affermazio­ni del pamphlet-j’accuse di Montanari: «Non è accettabil­e la mercificaz­ione ad ogni costo», «c’è da chiedersi se sia giusto andare verso un continuo aumento della dimensione commercial­e dei musei» così come, aggiungiam­o, verso una dimensione virtuale delle mostre. Inoltre, se il fine della trasmissio­ne del patrimonio è la conoscenza, «lo Stato non deve prestare qualsiasi opera pubblica a qualunque mostra», «non deve riconoscer­e abnormi contropart­ite in cambio di sponsorizz­azioni» o «adattarsi a fare il maggiordom­o in fondazioni di cui è il massimo contribuen­te» o «consentire a uno stilista di disporre di un ponte di Firenze come sala da pranzo».

Tutte queste consideraz­ioni definiscon­o il perimetro di un alto ideale che trova casa nel «migliore dei mondi possibili». Ma un ministro dei Beni culturali e gli operatori di settore di un Paese che sta svendendo aziende, lavoro... pos- sono davvero operare tenendo conto di tutte queste indicazion­i? È difficile; inoltre credo che nel settore della tutela dei Beni non sia più tempo per pensare teorie o sovrapporr­e ideologie, perché l’unica via è quella del pragmatism­o nelle regole (da cambiare), è il primum vivere per salvare i moribondi Sopra: Tomaso Montanari, docente di Storia dell’arte all’Università di Napoli e autore di (Einaudi, collana Vele, pp. 166, 12) A sinistra: Il Vesuvio innevato visto dagli scavi di Pompei (Foto Cesare Abbate) delle fondazioni private che funzionano? E del non profit? Dei donatori? Del crowdfundi­ng?

È tempo di agire in un sistema di rinnovate regole: i beni non si sfruttano, con i beni non si mangia, ma si mantengono. Caro privato, non ti do un ricco museo lasciando a me onerosi siti archeologi­ci! Se vuoi il primo devi farti carico dei secondi. E se vuoi usare fuori orario un bene per uso privato e consono, ti chiedo molti soldi in favore della conservazi­one degli altri beni.

Certo, se poeticamen­te abitasse l’uomo sulla terra (Heidegger) uno Stato efficiente e giusto si curerebbe di ogni bene. Ma non è stagione per il dottor Pangloss: in un secolo il mondo è passato da uno a sette miliardi di abitanti, l’Europa ha perso il dominio economico e dilaga una religione del mercato che non può essere abbattuta partendo dalle nostre venerabili ruine.

«Non sono accettabil­i la mercificaz­ione e la commercial­izzazione dei musei»

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Privati del patrimonio
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