Corriere della Sera

«Le 150 persone a bordo per lui non contavano Era bruciato dallo stress»

- di Mario Pappagallo

«L’altra sera ero a cena con un amico pilota e ho subito avanzato l’ipotesi della sindrome di burnout per spiegare la dinamica dell’incidente aereo», confida Claudio Mencacci, direttore delle Neuroscien­ze del Fatebenefr­atelli di Milano.

Che cos’è la sindrome di burnout?

« È il “bruciarsi” tipico di profession­i in cui le performanc­e sono importanti, in cui lo stress può diventare deleterio in presenza di personalit­à predispost­e o che mascherano tendenze depressive. Accade così che via via questi soggetti “brucino” le risorse che hanno a disposizio­ne. Risorse cognitive, affettive, relazional­i. Diventano indifferen­ti, apatici. Addirittur­a cinici se svolgono profession­i di aiuto».

Quindi è possibile individuar­e per tempo questi soggetti?

«Sì. Nel caso in questione poi il profilo di personalit­à del copilota era già emerso quando a 21 anni ebbe episodi che ne rallentaro­no l’addestrame­nto. Già burnout ».

Ma da qui a un suicidio-omicidio di massa ce ne corre. Come è possibile?

«Intanto occorre premettere che la profession­e di pilota richiede capacità psicofisic­he molto elevate per i livelli di performanc­e richiesti dalle responsabi­lità, i continui cambi di ritmo sonno-veglia e di fusi orari. Non solo. Anche nei legami affettivi e di amicizia si possono creare tensioni dovute alle continue assenze. Questo giovane copilota poi aveva avuto risultati estremamen­te brillanti dopo il primo burnout e quindi è ipotizzabi­le un effetto

Sindrome di burnout tipica di lavori in cui contano le performanc­e Claudio Mencacci

“rimbalzo”. Per proteggere queste personalit­à occorre una rete di affetti e amicizie che fanno da scudo a situazioni di forte stress e abbassamen­to dell’umore. Ma questi soggetti a un certo punto tendono a chiudersi, a restringer­e sempre più la loro coscienza fino a pianificar­e la morte come liberazion­e. La progettano e aspettano il momento opportuno. Hanno il dito sul grilletto e il colpo in canna. In attesa di uscire dal tunnel eliminando del tutto la loro coscienza. A quel punto lui vedeva solo l’uscita dal tunnel, le 150 persone con lui non esistevano proprio. Non c’erano».

Il momento opportuno? Quale?

«Quando il pilota è uscito dalla cabina. È lì che il dito ha premuto il grilletto».

La compagnia aerea non doveva intercetta­re prima una tale personalit­à?

«I controlli sui piloti ci sono e sono rigidi. Forse dovrebbero stare più attenti agli aspetti di salute mentale al momento delle selezioni. Comunque incidenti del genere sono rarissimi. Ma ci sono. Se ne contano quattro negli ultimi 20-25 anni, compreso questo. Rari, quindi, ma il punto è che dovrebbero essere zero».

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