Corriere della Sera

I genitori del copilota soli nel prato «Gli altri parenti non li volevano»

Il pianto di Maria: sono qui per vedere le ultime cose che ha guardato mio marito

- Marco Imarisio

che l’attesa sta per finire, «tra poco ci sarà anche la famiglia del copilota» e non c’è bisogno di aggiungere altro.

I genitori di Andreas Lubitz arrivano alle 18.10 con la seconda comitiva, se è possibile chiamarla così, quella dedicata all’equipaggio del volo 4U9525, un solo pullman, e dietro, a qualche metro e un minuto di distanza, un furgoncino. Al mattino erano con gli altri parenti delle vittime, erano come gli altri. L’hanno saputo sul pullman. Pensavano di dover piangere un figlio morto in un incidente inspiegabi­le, hanno scoperto che invece si è suicidato e nel farlo ha tolto la vita ad altre 149 persone, colleghi, amici, bambini, studenti, anziani. Il capo dell’unità di crisi della Lufthansa li ha fatti scendere per infilarli nella berlina nera sulla quale sono giunti fino all’ingresso della camera ardente di Seyne-les-Alpes, la prima tappa di una giornata atroce, dove sono stati protetti e scortati come criminali all’uscita da un tribunale, uguali nel dolore di tutti ma all’improvviso diversi da tutti gli altri, colpevoli senza esserlo.

Quando scendono i gendarmi e gli uomini della Lufthansa li coprono con i loro corpi, scortandol­i sul prato dove sono stese le bandiere spagnole, te- desche, inglesi. Da una parte ci sono i familiari dei membri dell’equipaggio, dall’altra queste due figure indistingu­ibili nel buio del tramonto. Di fronte hanno una stele improvvisa­ta sulla quale è inciso anche il nome di loro figlio, insieme a quello delle altre vittime. Il gruppo più numeroso si inoltra nel prato, verso il punto più vicino allo sperone di roccia che nasconde i resti dell’Airbus e dei passeggeri. Fanno per incamminar­si ma vengono fermati da due assistenti che mettono le mani tese davanti a loro come fossero le sbarre di un passaggio a livello. Aspettate, prima gli altri. Abbassano le mani solo quando i parenti sono avanzati fin quasi a metà, distanti almeno 50 metri. Ripartono tutti che è buio. Prima il pullman, dietro il furgoncino.

«Brutto, crudele, ma non si poteva fare diversamen­te» dice Joel Balique, la moglie del sindaco di Le Vernet che si è presa il compito di aprire la piccola cappella per i pochi che avevano voglia di raccoglier­si in preghiera. «C’era troppa rabbia, alcuni parenti non li volevano». A sera tardi davanti alla camera ardente di Seyne-les-Alpes ritroviamo la signora del foglio di giornale, una dei pochi che trova la forza di uscire dal sentiero che le è stato imposto. Si chiama Maria Rives, moglie di Manuel, padre dei suoi tre figli. «Cosa siamo venuto a fare?» si chiede. «Sono partita per vedere le ultime cose che ha visto mio marito. Ho dovuto guardare da lontano la scena di un delitto». Quell’uomo è un assassino, aggiunge con il dito alzato prima di risalire sul pullman. I genitori di Andreas Lubitz invece restano qui. Oggi verranno sentiti dal magistrato e dai gendarmi. In Germania, davanti alla loro casa, ci sono auto della Polizia. Sopravvive­re a un figlio è qualcosa che un padre e una madre non dovrebbero mai vivere. Per loro questo è il primo giorno di una vita peggiore della morte, dove non ci sarà perdono.

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