Un Paese diviso fra tribù e sette diventato santuario dei terroristi
dalla fusione, il 22 maggio 1990, tra lo Yemen del Nord e lo Yemen del Sud. Il Nord è stato una Repubblica fin dal 26 novembre 1962 a seguito del colpo di Stato che rovesciò la monarchia il cui sovrano era un Imam (sciita) della setta zaidita che rivendicava legittimità religiosa e politica. Già protettorato britannico, il Sud era una Repubblica socialista indipendente dal 20 novembre 1967 e, legato all’Urss, ha giocato un ruolo nella Guerra fredda. A presiedere fin dall’inizio la Repubblica dello Yemen unificato è stato Ali Abdallah Saleh. Sulla scia delle primavere arabe e in seguito alle proteste guidate dalla giornalista e attivista Tawakkol Karman (Nobel per la pace 2011), nel novembre 2011 Saleh ha passato il testimone al suo vice, Mansour Hadi. Dopodiché è iniziata la Conferenza del dialogo nazionale, ovvero una fase di transizione politica conclusasi nel gennaio 2014 con la decisione di trasformare lo Yemen in uno Stato federale. Non sono state però accolte le istanze di autonomia degli Houthi, da una decina d’anni in conflitto con l’autorità centrale. Di conseguenza, a settembre 2014 gli Houthi Il movimento prende nome da Hussein al-Houthi, leader del gruppo Shabab alMumanin (gioventù credente) attivo nel nord-ovest dello Yemen dagli anni 90 del secolo scorso in seno alla setta sciita degli Zaydi, dominante fino a mezzo secolo fa. Nelle proteste per l’intervento Usa in Iraq, alHouthi fu ucciso dalle forze dell’allora presidente Saleh, ora alleato del gruppo guidato da Abdul-Malik al-Houthi, 33 anni. hanno lasciato la città di Saada (nel Nord) e sono scesi sulla capitale. A fine febbraio 2015 la situazione è precipitata e il presidente Hadi ha abbandonato la capitale per rifugiarsi ad Aden da dove mercoledì si sarebbe allontanato a bordo di un’imbarcazione. Venticinque anni dopo la riunificazione, lo Yemen è quindi teatro di tensioni politiche e sociali e di ricorrenti ondate di violenza che mettono a rischio la sua unità.