L’incontro con i creativi della rassegna: un singolare paradosso Il «vecchio» multimediale e il giovane artigiano
Dal decano Aldo Tambellini alla promessa Luca Monterastelli: esploratore il primo, classico il secondo
Il meno giovane ( classe 1930) e il più giovane (classe 1983) ovvero i due estremi del Codice italiano della prossima Biennale. Ad Aldo Tambellini, grande pioniere della multimedialità (artista e poeta, ora riscoperto anche in Italia dopo le celebrazioni della Tate Modern e delle gallerie newyorkesi), il compito di una installazione monumentale ispirata ai Codex del Leonardo naturalista. A Luca Monterastelli (che proprio oggi compie 32 anni), quello di giocare in bilico tra arte e artigianato, attualizzando il «classico» tema della colonna.
Che cosa rappresenta per lei questa «Biennale»? sempre considerato un primitivo in una terra che non conosco, forse un esploratore. Per gli esploratori non vi sono regole da seguire, mappe da leggere, tutto è nuovo e sconosciuto. Sono un grande appassionato del dinamismo futurista, così come dell’opera e della ricerca scientifica di Leonardo, infatti ho il suo self portrait sulla parete accanto alla mia scrivania. Mi sento umile di fronte al suo genio. Ho sempre ammirato anche il lavoro di Lucio Fontana e dello Spazialismo, di Bruno Munari e della Transavanguardia. Da piccolo studiavo invece i grandi artisti. Ho viaggiato nella nave per venire in America con un libro su Goya. I lavori di Mondrian con la loro tensione, hanno ispirato la mia ricerca sulla composizione».
Luca Monterastelli — «La scultura è sempre un'arte classica. E io sono uno scultore tradizionale, nel senso che cerco di stabilire un legame fisico con la materia. Per questo nel mio universo si ritrovano le radici dei classici, la scultura del Medioevo italiano, ma anche il Rinascimento di Michelangiolo. E poi Brancusi, Cy Twombly e Richard Serra. Ma non solo: nel mio modo di essere, e di creare, si ritrovano ormai, quasi geneticamente, tutte quelle capacità che si legano all’utilizzo del computer. Insomma, anche se non sembra, nelle mie opere che possono apparire così classiche, il computer ha la sua influenza, perché fa parte del modo di essere della mia generazione».
Come racconterebbe il suo legame con l’Italia?
Aldo Tambellini — «Diciamo che è arrivato il momento, per un artista alla fine della sua vita, di ritornare nel luogo dove nacque la sua arte. Ricordo bene la vita durante la guerra, l’oppressione, la paura (Tambellini nato a Syracuse, negli Usa, ha trascorso gli anni della guerra a Lucca, ndr). Ricordo bene la squadra dei Buffalo Soldiers formata da gente di
Opera / 2
Luca Monterastelli (1983), (2011-2013, vasi in ceramica, plastilina, cinture dimensioni variabili), Milano / Napoli, Galleria Lia Rumma
Opera / 1
Aldo Tambellini (1930) «We are the primitives of a new era» da «The Manifesto Series» (1961, acrilico e matita su carta), New York, James Cohan Gallery colore che liberò Lucca. I Buffalo erano i nostri liberatori e per questo ho sempre sentito una grande vicinanza con gli afroamericani».
Luca Monterastelli — «Mi piace vivere qui, anche se magari le residenze da artisti sono sicuramente più efficienti e belle quelle francesi ma le fondazioni e le gallerie milanesi non hanno davvero eguali. Quello che penso è che noi italiani dovremmo solo evitare di piangerci troppo addosso: è francamente il nostro difetto maggiore, un difetto che tocca anche la mia generazione. Vivere, e lavorare in Italia, oggi non è poi così male».
L’arte è ormai diventata anche un sistema economico...
Aldo Tambellini — «Ho conosciuto bene la New York dei tempi di Andy Warhol. In quell’epoca, gli artisti come me erano attenti a ciò che stava succedendo intorno, sia politicamente che socialmente. Sapevamo ciò che era sbagliato, e sapevamo cosa avremmo potuto fare. Nel peggior caso, anche se avessimo fallito, non saremmo stati complici del sistema. Ma come ha dimostrato Fellini ne La Dolce Vita, c’era un verme nella mela. Il verme dei soldi, portati da ricchi speculatori che non desideravano altro che gli artisti non guardassero alla società, ma pensassero solo al denaro, alla fama, e a trasformare il nostro lavoro in merce. Così successo che alcuni artisti hanno ceduto di fronte alla debolezza di veder realizzato un facile desiderio di lusso e fama. Per questo, nel 1964, l’avanguardia poteva considerarsi finita e per molti di noi Warhol è stato l’epitome di questo cambiamento. Una persona molto attenta a ciò che gli accadeva intorno, ma la vera arte non può mai essere fatta a tavolino. E i soldi restano solo soldi».
Luca Monterastelli — «Non mi interessano le quotazioni, voglio pensare solo a studiare e al mio lavoro».