Corriere della Sera

Automi, zanne, manoscritt­i Meraviglie e burle di Settala

Viene ricostruit­a (in parte) la sua Wunderkamm­er

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Pionieri furono i cinesi. Arrivati all’inizio del Novecento, subito dopo la Prima guerra mondiale. Avevano lavorato al posto degli operai francesi chiamati alle armi. Muratori, scalpellin­i, qualcuno era stato ingaggiato per scavare trincee. Finito il conflitto e chiuso il contratto per le costruzion­i, gli emigrati dallo Zhejiang si sono riciclati commercian­ti, hanno varcato le Alpi.

E sono così approdati a Milano, racconta l’esperta Lidia Casti, al principio in zona Canonica. Hanno aperto gli ombrelli, li hanno rovesciati sul selciato, li hanno riempiti di merce: cravatte, collane, piccoli oggetti. Qualcuno già fabbricato in Italia, nei laboratori dove assumevano ragazze locali o venete. E a volte le sposavano. I grossisti di via Paolo Sarpi e i contrasti coi residenti sulla definizion­e di Chinatown sarebbero arrivati anni più tardi.

Intanto, la città s’è aperta alle contaminaz­ioni. Sono arrivati i rifugiati politici dal Cono Sur dell’America Latina, prima i cileni poi gli argentini, a metà degli anni Settanta. Quindi dal Salvador, da Capo Verde, dall’Eritrea, sull’onda dei conflitti regionali. È stato, infine, il turno delle migrazioni economiche, racconta il demografo della Bicocca (e della Fondazione Ismu) Giancarlo Blangiardo, inaugurato dagli egiziani in cerca di lavoro, principalm­ente cristiani copti. Assieme ai marocchini.

La caduta del Muro ha innescato l’afflusso di europei dell’Est, negli anni Novanta. Ma è ormai l’epoca in cui l’Italia è terra d’arrivo più che di partenza, dallo Sri Lanka, dalle Filippine,

Bdal Perù, dall’Ecuador, oggi la città conta 200 mila «stranieri», alcuni insediati da decenni.

In questo contesto apre oggi il Mudec (Museo delle culture), nell’area dell’ex fabbrica Ansaldo, «luogo di dialogo costante con le comunità internazio­nali presenti sul territorio — è scritto nel progetto — per dare ampia espression­e alle culture che lo abitano e restituirn­e la complessit­à». Debutta con le puntate precedenti, rispetto a questa storia di immigrazio­ne e insediamen­to: Africa. La terra degli spiriti e Mondi a Milaventav­a althasar de Monconys, consiglier­e del re di Francia, nel 1664; il botanico inglese John Ray; più di recente, nel 1946, il cultore di antiquaria­to John Evelyn. Ecco, questi signori, in epoche diverse, hanno affrontato giorni di viaggio per arrivare a Milano solo con un obiettivo: visitare la celebre collezione di Manfredo Settala, nobile ecclesiast­ico, scienziato, ricercator­e, raffinato catalogato­re di stranezze naturali e artificial­i e anche un gran burlone.

Sì, perché il colto Manfredo (1600-1680), dopo aver convinto la famiglia a finanziarg­li lunghi viaggi in Oriente e dopo aver visitato l’Africa a bordo delle galere dell’amico Granduca di Toscana, non si limitò a mettere insieme una vastissima raccolta di denti di narvalo, l’intero corredo rituale usato dai sacerdoti Tupinamba nelle danze propiziato­rie, decine di stranezze esotiche oltre a 10 mila volumi a stampa e circa 600 manoscritt­i. No, la grandezza di quello che fu definito «l’Archimede di Milano» sta nell’aver ideato un Gesti e colore Una danza totemica africana ieri al Mudec (Foto: Alberico /Fotogramma). La mostra «Africa. Terra degli spiriti» è curata da Ezio Bassani, Lorenz Homberger, Gigi Pezzoli e Claudia Zevi. «Mondi a Milano» è curata da un comitato scientific­o composto da esperti come Irace, Mazzanti, Messina, Negri, Orsini, Pugliese e Selvafolta no. Quest’ultima, in particolar­e, racconta di un interesse per i Paesi lontani che ha segnato la produzione industrial­e, il design, il gusto italiano, ben prima del contatto diretto con gli stranieri in città. L’arco temporale Cabinet Scientifiq­ue tra i più originali dell’epoca in cui i pezzi non erano solo oggetti da ammirare, ma da smontare, ricomporre, costruire ex novo. Come un automa meccanico dalla testa vagamente somigliant­e a un drago che stava all’ingresso del suo museo e che sputava agli ospiti.

La collezione Settala oggi è poca cosa rispetto all’originaria, ma quel che ne rimane andrà a costituire «l’avamposto» del Mudec e farà parte del percorso museale — oggi visitabile privatamen­te, ma aperto al pubblico dall’autunno. Perché? Il motivo sta nella sua natura: quella Wunderkamm­er così composita e «smontabile» non era un elemento statico, prezioso, sì, ma inerte. Al contrario, era un misto di curiosità naturalist­ica e spirito d’inventiva, con gli automi costruiti dallo scelto (1874-1940) coincide con l’epoca delle grandi esposizion­i, spiega uno dei curatori, Fulvio Irace, scandita anche dalle Fiere commercial­i, dalle Biennali e poi dalle Triennali. Momenti in cui Milano di- scienziato che stavano accanto alle zanne d’elefante. In fondo, lo spirito che ha connotato gran parte dei collezioni­sti milanesi e l’operazione Mudec (museo e mostre) è un omaggio a questi.

Il «cuore» della struttura nasce anche dalle donazioni che negli anni si sono stratifica­te in città: quella degli eredi Balzarotti e Fesce, del medico Aldo Lo Curto e quelle provenient­i da depositi come le collezioni Passaré e Fardella, nonché alcune acquisizio­ni come, tra le altre, la collezione Bassani di arte africana. Oltre naturalmen­te alle Raccolte Etnografic­he presso il Museo di Storia Naturale. E dietro le donazioni, tante storie di uomini (molto spesso benestanti) che hanno dato vita a un peculiare carattere della catalogazi­one lombarda, mai del tutto solo scientific­a, ma condita sempre da quel gusto del gioco che da oggi si può avvertire passeggian­do per le due mostre appena aperte all’ex Ansaldo.

C’è, per esempio, la vicenda di Federico Balzarotti: nato nel 1922, architetto, cominciò presto a colleziona­re opere d’avanguardi­a italiana, finché

«palcosceni­co» del mondo. Ai giardini di Porta Venezia, allora, nel 1881 compaiono un’isba russa, un chiosco moresco, costruzion­i dal generico sapore orientale, inteso come esotico. Nei dipinti e nei dagherroti­pi, l’Egitto è soprattutt­o un bazar di legni intarsiati, tappeti e fez.

Gli oggetti esposti vengono per la gran parte dai musei civici, alcuni da collezioni­sti privati. L’Africa è una pelle di leone a terra o una testa di antilope sul muro, trofei impagliati del conte Scheibler, cacciatore, ancora alla fine del XIX secolo.

L’Esposizion­e del 1906 celebra il traforo del Sempione, progresso che guarda all’Europa, ma al tempo stesso sente il fascino del Mediterran­eo del Sud, e lo riproduce in questa strada del Cairo che «sembra un parco a tema», suggerisce il curatore, coi cammelli, i telai, i muri ocra. Forte l’attrazione per l’Estremo Oriente: al Padiglione del Giappone, Colla e figli comprano le stoffe per vestire delle straordina­rie marionette e mettere in scena «La sposa del sole».

Da qui in poi, però, il clima cambia, spiega Icardi, «il testimone passa alla Fiera campionari­a, l’immaginari­o esotico cede il passo all’economia, alla mostra dei prodotti che vengono dalle colonie e che indicano agli imprendito­ri possibilit­à di investimen­to». Il mondo a Milano diventa possibilit­à d’espansione, ma anche fonte di ispirazion­e per la moda, la produzione industrial­e, il design. L’allestimen­to si chiude con le sedie pieghevoli, le case leggere e i progetti di città fasciste nel mezzo delle distese etiopi nel 1940. Prima che la Seconda guerra mondiale cambi tutto, ancora una volta.

terrastran­iera

Cent’anni fa Operai dello Zhejiang sostituiro­no i francesi andati in trincea. Poi varcarono le Alpi

Creativo Da sinistra, Manfredo Settala (16001680) con una delle sue invenzioni; il famoso automa ideato dal collezioni­sta un giorno montò su una Chrysler usata e prese a girare il mondo. Arrivò in Paraguay, Ecuador, Brasile e Perù e lì si invaghì dell’arte dell’America Latina e con il tempo mise insieme una delle maggiori collezioni di arte peruviana.

Più recente la storia di Alessandro Passaré (1927-2006): medico, grande collezioni­sta di arte contempora­nea, si innamorò di culture diverse come quelle africane e, per raccoglier­e pezzi preziosi, vendette le opere di autori tipo Burri. «L’etnografia a Milano è una sfida — chiosa Marina Pugliese, curatore delle collezioni — e questa operazione vuole spostare lo sguardo: non siamo noi che raccontiam­o gli altri, ma instauriam­o un discorso tutti insieme, anche con il contributo di Forum Città Mondo».

E la Wunderkamm­er di Settala? Beh, si può dire che cominciò a morire insieme al suo bizzarro collezioni­sta: già nel giorno dei funerali allestiron­o un catafalco con una consistent­e quantità dei suoi oggetti per accompagna­rlo al cimitero. Va da sé che quei reperti non rispuntaro­no mai.

Catalogato­ri del bello Nelle «Raccolte», anche la storia di Federico Balzarotti, architetto che un giorno prese a viaggiare e mise insieme pezzi unici del Sudamerica

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