Dal sogno del «college» al trionfo dell’apparenza
Figli depressi perché l’università alla quale avevano puntato non li ha accettati: una macchia indelebile per tutta la vita. E non hanno ancora 18 anni. Altri che interpretano il reclutamento da parte di un’accademia della «Ivy League» come la certificazione che loro, ormai, un posto al sole se lo sono conquistato. Non sanno ancora che lavoro vogliono fare, ma è un dettaglio. In casa scene da curva sud quando arriva la sospirata mail da Harvard, Stanford o dalla Columbia: ti abbiamo preso. Padri che fingono di gioire perché l’università che ha selezionato tuo figlio, «privilegio» riservato a un candidato su venti, oltre che molto blasonata costa anche un occhio della testa: 65 mila dollari l’anno o anche più.
In primavera moltissime famiglie americane coi figli adolescenti vivono col fiato sospeso: ogni anno si dice che non ha più senso questa corsa a college sempre di più cari e che non danno più certezze: ti iscrivi pensando a un certo lavoro e prima di laurearti quel mestiere non esiste già più. Ogni anno arrivano in libreria saggi che annunciano l’implosione del sistema scolastico (ora tocca a Kevin Carey della New America Foundation col perentorio La fine del College). Ogni anno sembra quello buono per la transizione alle università online destinate a sostituire quelle fisiche o, almeno, a calmierarne i costi coi loro corsi digitali, i «Mooc». Alla fine, però, l’unica tecnologia che fa veramente progressi è quella utilizzata per selezionare le domande di accesso ai college di qualità — 3,5 milioni solo quelle che passano attraverso il portale web del sistema Common Application — mentre i «Mooc» non decollano: le università accettano qualche corso digitale, ma l’interazione nelle aule e nel campus è giudicata insostituibile. E i costi restano stellari. Del resto ci sono intere città che vivono sulle loro accademie. Col tempo si arriverà a un sistema ibrido meno costoso e più flessibile con l’introduzione degli Spoc (corsi digitali su discipline molto specifiche organizzati per un numero limitato di studenti). Ma intanto la novità che fa più discutere, nel 2015, è la scelta di alcuni (ancora pochi) college Usa di semplificare la selezione dei candidati sostituendo il test di profitto in inglese, matematica e nelle altre materie e il saggio scritto con un video nel quale il candidato «si racconta». Preparato? Chissà. Ma capisci se è sveglio e intraprendente. Il trionfo della civiltà dell’apparire. O il tentativo dei selezionatori di non affogare sotto un mare di test.