Corriere della Sera

Dal sogno del «college» al trionfo dell’apparenza

- Di Massimo Gaggi

Figli depressi perché l’università alla quale avevano puntato non li ha accettati: una macchia indelebile per tutta la vita. E non hanno ancora 18 anni. Altri che interpreta­no il reclutamen­to da parte di un’accademia della «Ivy League» come la certificaz­ione che loro, ormai, un posto al sole se lo sono conquistat­o. Non sanno ancora che lavoro vogliono fare, ma è un dettaglio. In casa scene da curva sud quando arriva la sospirata mail da Harvard, Stanford o dalla Columbia: ti abbiamo preso. Padri che fingono di gioire perché l’università che ha selezionat­o tuo figlio, «privilegio» riservato a un candidato su venti, oltre che molto blasonata costa anche un occhio della testa: 65 mila dollari l’anno o anche più.

In primavera moltissime famiglie americane coi figli adolescent­i vivono col fiato sospeso: ogni anno si dice che non ha più senso questa corsa a college sempre di più cari e che non danno più certezze: ti iscrivi pensando a un certo lavoro e prima di laurearti quel mestiere non esiste già più. Ogni anno arrivano in libreria saggi che annunciano l’implosione del sistema scolastico (ora tocca a Kevin Carey della New America Foundation col perentorio La fine del College). Ogni anno sembra quello buono per la transizion­e alle università online destinate a sostituire quelle fisiche o, almeno, a calmierarn­e i costi coi loro corsi digitali, i «Mooc». Alla fine, però, l’unica tecnologia che fa veramente progressi è quella utilizzata per selezionar­e le domande di accesso ai college di qualità — 3,5 milioni solo quelle che passano attraverso il portale web del sistema Common Applicatio­n — mentre i «Mooc» non decollano: le università accettano qualche corso digitale, ma l’interazion­e nelle aule e nel campus è giudicata insostitui­bile. E i costi restano stellari. Del resto ci sono intere città che vivono sulle loro accademie. Col tempo si arriverà a un sistema ibrido meno costoso e più flessibile con l’introduzio­ne degli Spoc (corsi digitali su discipline molto specifiche organizzat­i per un numero limitato di studenti). Ma intanto la novità che fa più discutere, nel 2015, è la scelta di alcuni (ancora pochi) college Usa di semplifica­re la selezione dei candidati sostituend­o il test di profitto in inglese, matematica e nelle altre materie e il saggio scritto con un video nel quale il candidato «si racconta». Preparato? Chissà. Ma capisci se è sveglio e intraprend­ente. Il trionfo della civiltà dell’apparire. O il tentativo dei selezionat­ori di non affogare sotto un mare di test.

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