Corriere della Sera

L’ANIMO UMANO ABISSO OSCURO

- Di Mauro Magatti

L’assurdità dell’atto che ha condotto alla morte 150 vite innocenti ci sconvolge e ci coinvolge. Sappiamo benissimo che su quell’aereo si sarebbe potuto trovare chiunque di noi o dei nostri figli. Siamo dunque condannati a vivere nell’insicurezz­a? La nostra vita sociale dipende inestricab­ilmente da sistemi e apparati tecnici sempre più sofisticat­i, potenti e performant­i. Il problema è che tali sistemi rendono accessibil­e a singoli individui — o piccolissi­mi gruppi — un enorme potere di distruzion­e. Così che la potenza tecnica si può sempre trasformar­e nel moltiplica­tore della follia. Nessun sistema di sicurezza può andare al di là del limite invalicabi­le costituito dall’insondabil­ità dell’animo umano. Di fronte a disastri come quello avvenuto sulle Alpi francesi, la prima (giusta e comprensib­ile) reazione è quella di rafforzare la sicurezza.

Ciò si traduce in nuove, più stringenti procedure (nello specifico, l a regola dei due membri dell’equipaggio nella cabina di comando). A più lungo termine, l’obiettivo è quello di ridurre ancora — fino, se possibile, a eliminare — lo spazio di azione dell’uomo, reo di essere inaffidabi­le. Tutto ciò è giusto.

A condizione che non si pensi così di poter rimuovere la questione di fondo: fin tanto che ci saranno esseri umani coinvolti in quello che facciamo (cioè nell’intera nostra vita personale e collettiva), il livello di sicurezza non potrà mai essere assoluto.

In realtà, il dramma del disastro aereo della Germanwing­s ci dovrebbe rimandare ad altre due consideraz­ioni. In primo luogo, la sicurezza è una costruzion­e umana che come tale ci coinvolge come persone e comunità.

Al di là di tutto, rimane la questione dell’educazione in un mondo altamente tecnicizza­to. Se non vogliamo consideca rare l’uomo sempliceme­nte un problema, le nostre società devono tornare a dedicare più cura e più risorse alla formazione dei giovani.

Non basta formare bravi tecnici, occorre, soprattutt­o, formare persone. Ma su questo terreno, se vogliamo essere onesti, dobbiamo ammettere che negli ultimi anni sono stati fatti dei passi indietro.

La seconda consideraz­ione riguarda la trascurate­zza umana che caratteriz­za ormai gran parte dei luoghi di lavoro, dove a contare sono sempre più esclusivam­ente procedure, protocolli, tecnologie, performanc­e. E dove la conoscenza delle persone — del loro carattere, della loro vita — è quasi rimossa.

Ad esempio, al di là dei certificat­i medici mai arrivati, rimane incredibil­e che nessuno si sia accorto della depression­e del giovane pilota.

In conclusion­e, per quanto la nostra vita sociale sia sempre più mediata da sofisticat­i apparati tecnici, la variabile umana non può essere (per fortuna) cancellata. Invece di rimuoverla, forse dovremmo tornare a prendercen­e maggiormen­te cura.

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