Corriere della Sera

Anche il carcere per chi pubblica le intercetta­zioni irrilevant­i

Multe e carcere, la proposta della commission­e Gratteri

- di Giovanni Bianconi

Nel dibattito sull’annunciata riforma delle intercetta­zioni e delle regole per la loro diffusione, il governo ha a sua disposizio­ne una nuova proposta di soluzione. Più precisamen­te la presidenza del Consiglio, giacché la proposta viene dalla commission­e istituita a Palazzo Chigi e presieduta dal procurator­e aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, il magistrato che Matteo Renzi avrebbe voluto come ministro della Giustizia. La sua relazione prevede un ampio intervento sulle intercetta­zioni, compreso il divieto di pubblicazi­one di quelle considerat­e «irrilevant­i» per la formazione della prova, con la previsione di multe salate e del carcere per chi lo viola. Prima ancora, però, c’è un altro divieto, imposto a pubblici ministeri e giudici: nelle richieste e nelle ordinanze d’arresto non potranno inserire i testi integrali dei colloqui registrati, a meno che la trascrizio­ne completa non abbia una diretta relazione con il capo d’imputazion­e.

Il resto delle intercetta­zioni finirà ugualmente a disposizio­ne delle parti dell’indagine, in atti che però non potranno essere diffusi. Ed ecco la conseguent­e norma immaginata per chi non rispetta questo divieto. È un nuovo articolo del codice penale, numero 595 bis, da inserire subito dopo il 595 che punisce la diffamazio­ne. Il reato dovrebbe chiamarsi «pubblicazi­one arbitraria di intercetta­zioni», e prevede che chiunque pubblichi o diffonda con qualsiasi mezzo i testi di intercetta­zioni o altre forme di comunicazi­one «acquisite agli atti di un procedimen­to penale», il cui contenuto «abbia portata diffamator­ia e risulti manifestam­ente irrilevant­e ai fini di prova», venga punito con una sanzione da 2.000 a 10.000 euro, o con la detenzione da due a sei anni.

È una novità molto rilevante, che darà adito a discussion­i e polemiche per la previsione del carcere (nonché di contravven­zioni pesanti) e perché in buona misura lascia al giornalist­a sia la valutazion­e della «portata diffamator­ia» delle conversazi­oni sia la sua rilevanza penale. Inoltre, vietando tout court la diffusione di ciò che non è contenuto nelle ordinanze d’arresto e nelle relative richieste, ma è tuttavia contenuto in atti a disposizio­ne degli avvocati — e dunque non più segreti — si impedirebb­e di rendere noto anche conversazi­oni che, pur non utili alla individuaz­ione di un reato, potrebbero avere comunque un interesse pubblico.

L’obiettivo della proposta è difendere la privacy delle persone, in particolar­e quelle non sottoposte a indagini che entrano in contatto con gli inquisiti, ma è evidente che ogni intervento su questa materia va a incidere sia sulla discrezion­alità del magistrato nella valutazion­e degli indizi derivanti dalle intercetta­zioni, che degli operatori dell’informazio­ne. Ma le proposte della «commission­e Gratteri» non si limitano al divieto di pubblicazi­one. Subito dopo l’esecuzione di arresto, i difensori degli accusati dovrebbero poter avere copia di tutti i risultati delle intercetta­zioni, anche se non ancora depositati, ad esempio, al tribunale del Riesame, in modo da rendere effettivo il cosiddetto «diritto all’ascolto». Inoltre si suggerisce di allungare i tempi previsti per le registrazi­oni, estendendo a tutte le indagini quelli più ampi già in vigore per le inchieste antimafia.

A fronte di una maggiore tutela della riservatez­za delle comunicazi­oni, il gruppo di lavoro coordinato dal procurator­e aggiunto di Reggio intende estendere il potere di indagine ad altre forme di comunicazi­one. Regolando due nuove forme di intercetta­zione: le riprese video — quindi «dei comportame­nti», non solo dei dialoghi — degli indagati nelle loro case o nei luoghi di riunione, autorizzat­e dal giudice, rendendole così utilizzabi­li nel processo. Inoltre si prevede una nuova forma di «intercetta­zione epistolare», sempre previa autorizzaz­ione del giudice, parificand­o le lettere ai colloqui registrati. In questo modo si potrebbe venire a conoscenza del contenuto delle lettere in maniera clandestin­a, facendole recapitare regolarmen­te senza che il destinatar­io sappia che quella corrispond­enza, prima di giungere nelle sue mani, lungo il tragitto è stata bloccata, letta e interpreta­ta, prima dalla polizia giudiziari­a e poi dai magistrati.

Il discrimine Dirimente diventa la rilevanza delle intercetta­zioni per la formazione della prova I paletti per le toghe I pm non potranno inserire parti non direttamen­te collegate al capo di imputazion­e

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