Corriere della Sera

Bufera su Lufthansa: non doveva pilotare

I responsabi­li della società avevano assicurato che il secondo ufficiale era «al 100% abile per il volo» Il precedente dell’addestrame­nto interrotto e il nodo delle analisi sul personale. «Siamo pronti a risarcire»

- DAL NOSTRO INVIATO D. Ta.

DÜSSELDORF L’altro ieri, la Lufthansa aveva sostenuto che Andreas Lubitz era «al cento per cento abile per il volo». Il suo amministra­tore delegato, Carsten Spohr, l’aveva affermato davanti ai media di tutto il mondo. Ieri, si è capito che non era così.

Si deve supporre che la compagnia aerea tedesca non sapesse che il copilota di Germanwing­s — l’aerolinea che Lufthansa possiede e della quale è totalmente responsabi­le — andava dal medico, il quale gli diceva e scriveva su un certificat­o di malattia che non poteva volare. Si immagina che non fosse al corrente del fatto che questi documenti finivano nel cestino, stracciati. Ciò nonostante, c’è un dato di fatto: la compagnia ha messo in cabina di pilotaggio di un A320 un copilota che non avrebbe dovuto esserci. E che ha schiantato altre 149 persone sulle Alpi francesi martedì scorso.

Non è facile individuar­e un dipendente malato che non lo vuole fare sapere. A maggiore ragione se la malattia non è fisica ed evidente, come nel caso di Lubitz. Che il ventisette­nne potesse avere problemi di esauriment­o nervoso o di depression­e, però, la compagnia lo avrebbe dovuto temere: in passato, l’uomo aveva interrotto per mesi l’addestrame­nto proprio per quella ragione. Era poi stato riammesso, era stata verificata la sua idoneità — ha assicurato Spohr. Fatto sta che l’aerolinea dovrà ora stabilire che cosa non ha funzionato, che cosa è sfuggito alla verifica della stabilità del copilota. E dovrà rivedere non solo i sistemi di reclutamen­to e di addestrame­nto — ritenuti nel settore tra i migliori del mondo —, dovrà anche ridisegnar­e l’attenzione che dedica alla salute mentale dei suoi piloti durante gli anni di servizio. Analisi che, pare, non svolge su basi regolari.

Ieri, la compagnia ha detto che è pronta a compensare immediatam­ente i parenti delle vittime con 50 mila euro per ogni passeggero morto. Andrà oltre: lo standard internazio­nale è di 113 mila euro per persona deceduta, se non ci sono responsabi­lità dimostrabi­li del vettore che operava il volo. Se invece sarà giudicata responsabi­le, la cifra potrebbe salire. In particolar­e, se si dimostrass­e che Lufthansa sapeva della malattia di Lubitz, o che l’ha sottovalut­ata, potrebbero essere intentate cause che porterebbe­ro i rimborsi a una cifra superiore ai 300 milioni e potenzialm­ente anche di più.

Al momento, però, le preoccupaz­ioni dell’aerolinea tedesca, da sempre considerat­a tra le più sicure e con i migliori piloti in circolazio­ne, vanno al di là degli aspetti finanziari. Al più presto — ha assicurato — metterà in pratica la regola delle due persone sempre in cabina di pilotaggio, per evitare che un individuo possa bloccare la porta d’ingresso e agire in modo irresponsa­bile o criminale. Regola che un po’ tutte le aerolinee europee stanno adottando. Poi, ha nominato Werner Maas, il capo dei piloti, responsabi­le della sicurezza dei voli del gruppo, anche per valutare nuove norme e procedure. Pure i sindacati dei piloti tedeschi chiedono sistemi di sicurezza più efficaci.

Fatto sta che Lufthansa ha scelte difficili di fronte. Una è quella di mettersi alla guida di un rinnovamen­to concettual­e che nel settore manca da troppo tempo. Sembra paradossal­e, ma sugli aerei c’è poca tecnologia e vecchia: persino nelle porte della cabina.

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(foto Lafargue / Polaris / Photomasi) L’omaggio I fiori e i pensieri di parenti e amici delle vittime al «memoriale» a Seyne-lesAlpes, in Francia, a pochi metri dal punto di impatto dell’Airbus

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