Rai, consiglio a sette. Guida il supermanager
Quattro scelti dalle Camere, due dal governo e uno dai dipendenti. Al vertice un ad con poteri rafforzati Renzi: così è libera dai partiti, il Parlamento approvi presto il disegno di legge. Il canone? Lo abolirei
«Della Rai non bisognerebbe discutere con spirito da tifoseria né con toni da ultrà perché parliamo di una grande azienda culturale, di un patrimonio del Paese». La premessa di Matteo Renzi vuole essere la chiave di interpretazione del disegno di legge del governo sulla governance Rai, messo a punto col sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, che gli è accanto. Renzi afferma di non voler «mettere le mani sulla Rai» (per farlo, dice, gli basterebbe «non far nulla e lasciare così com’è la legge Gasparri»).
Ed ecco lo schema: consiglio con sette membri (due votati dalla Camera, due dal Senato, uno dai dipendenti Rai, due designati dal governo). Un presidente nominato all’interno del cda. Un amministratore delegato-capo azienda, sempre nominato nel cda (come in Poste o Enel) e che, afferma il capo del governo, «si assuma la responsabilità di scegliere e di A Palazzo Chigi Il premier Matteo Renzi, 40 anni, riceve degli appunti dal suo portavoce Filippo Sensi, 47 anni, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri decidere, rispondendo al consiglio di amministrazione, ma con poteri in più rispetto a quelli dell’attuale direttore generale, costretto a una costante, fastidiosa melina». Il manager avrà il potere di spesa fino a 10 milioni e nominerà i direttori e i dirigenti «sentito il consiglio di amministrazione». Nessuna novità sul canone, che Renzi vorrebbe abolire affidando il finanziamento della tv pubblica alla fiscalità generale. Ci sarà tempo un anno, dal varo della legge, per individuare una soluzione. Resta la commissione di Vigilanza come centrale parlamentare di indirizzo generale.
Renzi ha in mente una Rai «che appassioni anche gli adolescenti, produca cultura, faccia crescere la domanda di bellezza, ci faccia riconoscere come italiani anche all’estero, porti la nostra lingua nel mondo». E nel documento apparso sul sito del governo, riconducibile alla mano del presidente del Consiglio, si legge: La Rai ha raccontato e costruito l’identità culturale e sociale del nostro Paese ma con gli anni la morsa della burocrazia e dei partiti ha ridotto fortemente la sua capacità di competere, soprattutto a livello internazionale, indebolendo l’azienda. Oggi occorre riannodare i fili di quell’identità»
Questa la filosofia. Una Rai, dice Renzi, «liberata dal dibattito frustrante che si registra tra le singole forze politiche con i partiti fuori dalla gestione dell’azienda». Il sottosegretario Giacomelli ricorda anche l’importante appuntamento con il rinnovo della concessione Stato-Rai nel 2016 e descrive la tv pubblica come «una media company pronta a produrre per tutte le piattaforme, capace di recuperare centralità nella vita del Paese e il suo ruolo di traino, in grado di contribuire a far superare il digital divide», ovvero quella differente confidenza col mondo digitale che separa l’Italia europeizzata da quella ancora tecnologicamente arretrata.
E se il Parlamento non approvasse il disegno di legge? Renzi: «Non ci sarà un decreto legge. Pensiamo che questa sia materia in cui il Parlamento deciderà. Se il Parlamento vuol votare con la Gasparri vota con la Gasparri, se vuol votare con la Giacomelli vota con la Giacomelli. Dipende dal Parlamento, noi rispettiamo il Parlamento. Ha ragionevolmente quattro mesi di tempo e in quattro mesi ce la può fare». Messaggio molto chiaro. Fate presto, altrimenti si torna alla Gasparri... i componenti dell’attuale cda Rai: 7 vengono nominati dalla Vigilanza, 2 (tra cui il presidente) sono scelti dal ministero dell’Economia
I tempi Il premier avverte i suoi: hanno 4 mesi di tempo, se no faranno le nomine con la Gasparri