L’algoritmo che ci mette a nudo (su Twitter)
he cosa dicono i nostri tweet di noi? A quanto pare, tutto. Basta inserire il nome utente su AnalyzeWords e il nuovo, fortunatissimo algoritmo dell’Università del Texas sviscererà i nostri post recenti, esaminandone tono e parole ricorrenti per fornirci la lettura del nostro stato d’animo, del modo in cui ci rapportiamo agli altri, addirittura di pensare (con risultati non sempre piacevoli).
Perché sui social — queste microcittà autosufficienti da cui è sempre più difficile staccarsi, che fingono di concederci la proprietà dei nostri dati al prezzo di altri e altri ancora; dove l’esserci è un ricatto, l’amicizia una commodity e la storia non si divide più in AC e DC, ma in Avanti e Dopo Zuckerberg, che solo leggendo i nostri like ci calcola il QI e in quest’anno 12 ha trovato il modo di non farci mai più uscire da Fb — siamo quello che postiamo. «Instagrammalo, o non è mai successo», canta la teen idol dei Kero Kero Bonito.
Addirittura, i nostri pensierini, dice il New Yorker, predicono gli infarti. Uno studio geolocalizzato su un miliardo di tweet mostra come parole quali «invidioso» e «str**zo» ricorrano più spesso da province il cui tasso di morte per attacco di cuore è molto più elevato. Perché Facebook, Twitter sono i nostri diari online, e in quanto tali — sola rivalsa su Zuckerberg & C. — possono anche rivelarsi terapeutici. Più ancora perché pubblici, a patto d’essere sinceri e leggere i commenti. Il sarcasmo è troppo facile. Siamo davvero noi su Twitter, o è il personaggio che vogliamo recitare? Perché se così fosse, se siamo comparse, allora sarà quello che i tweet non dicono. E avremo perso centinaia di giornate non solo in un non-luogo, ma anche in un non-noi.