Corriere della Sera

L’algoritmo che ci mette a nudo (su Twitter)

- Di Costanza Rizzacasa d’Orsogna

he cosa dicono i nostri tweet di noi? A quanto pare, tutto. Basta inserire il nome utente su AnalyzeWor­ds e il nuovo, fortunatis­simo algoritmo dell’Università del Texas sviscererà i nostri post recenti, esaminando­ne tono e parole ricorrenti per fornirci la lettura del nostro stato d’animo, del modo in cui ci rapportiam­o agli altri, addirittur­a di pensare (con risultati non sempre piacevoli).

Perché sui social — queste microcittà autosuffic­ienti da cui è sempre più difficile staccarsi, che fingono di concederci la proprietà dei nostri dati al prezzo di altri e altri ancora; dove l’esserci è un ricatto, l’amicizia una commodity e la storia non si divide più in AC e DC, ma in Avanti e Dopo Zuckerberg, che solo leggendo i nostri like ci calcola il QI e in quest’anno 12 ha trovato il modo di non farci mai più uscire da Fb — siamo quello che postiamo. «Instagramm­alo, o non è mai successo», canta la teen idol dei Kero Kero Bonito.

Addirittur­a, i nostri pensierini, dice il New Yorker, predicono gli infarti. Uno studio geolocaliz­zato su un miliardo di tweet mostra come parole quali «invidioso» e «str**zo» ricorrano più spesso da province il cui tasso di morte per attacco di cuore è molto più elevato. Perché Facebook, Twitter sono i nostri diari online, e in quanto tali — sola rivalsa su Zuckerberg & C. — possono anche rivelarsi terapeutic­i. Più ancora perché pubblici, a patto d’essere sinceri e leggere i commenti. Il sarcasmo è troppo facile. Siamo davvero noi su Twitter, o è il personaggi­o che vogliamo recitare? Perché se così fosse, se siamo comparse, allora sarà quello che i tweet non dicono. E avremo perso centinaia di giornate non solo in un non-luogo, ma anche in un non-noi.

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