Corriere della Sera

La taglia dei Piccoli, il governo spinge Confindust­ria resta cauta

- Di Dario Di Vico

stato il vice-ministro Carlo Calenda a sollevare al convegno biennale dei Piccoli di Confindust­ria il tema della dimensione (anche) sulla scia di Mario Draghi. È vero che è stato l’export a salvarci negli anni della Grande Crisi, e anche le piccole aziende hanno dato il loro contributo, ma non è detto che in futuro sarà ancora così. Per Calenda oggi il peso dell’export del Pil italiano è al 30%, deve arrivare al 50% come quello tedesco e di conseguenz­a gli incrementi delle vendite devono essere significat­ivi. «Se il sistema Italia arriva al 50% si può giovare in modo continuati­vo di una domanda internazio­nale che nei prossimi anni continuerà a tirare. Ma da un certo livello in su la dimensione aziendale conta per presidiare i mercati, eccome». In concreto se un’azienda del made in Italy non vuole risentire di imprevisti riflessi geopolitic­i (tipo Russia) deve essere presente in 5-6 mercati e non in uno solo. «E poi se vuoi entrare nella grande distribuzi­one americana devi avere una certa taglia per poter gestire gli assortimen­ti». Il potenziale di ulteriore penetrazio­ne italiana negli States è stimato addirittur­a in 10 miliardi di euro anche perché oggi il nostro export è di fatto concentrat­o su due-tre Stati (e non in Texas, ad esempio).

Se il governo ha messo i piedi nel piatto la Confindust­ria è stata più cauta. Nella relazione il presidente dei Piccoli, Alberto Baban, non ha preso di petto il tema “caldo” della dimensione. È vero che in un passaggio ha detto che «l’individual­ismo in impresa ha fatto il suo tempo» e che l’azienda che si identifica nel proprio leader ha «paura di invecchiar­e» ma successiva­mente ha voluto rassicurar­e la platea sostenendo che «un’azienda non è grande o piccola ma innovativa o no». Affermazio­ne da condivider­e ma che calata nel dibattito postDraghi funziona a mo’ di freno.

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