Corriere della Sera

Buttafuoco e il terrorismo islamista: non si combattono fede e ragione, ma Sacro e Nichilismo

- Di Aldo Cazzullo

Pietrangel­o Buttafuoco si considera un saraceno. Scrittore, giornalist­a approdato oggi al «Fatto Quotidiano » — forte di un’identità profession­ale costruita al «Foglio» di Giuliano Ferrara — rivendica una formazione culturale e spirituale islamica. Il feroce saracino. La guerra dell’Islam, il Califfo alle porte di Roma, il libro che Bompiani sta per mandare in libreria, affronta lo spavento del terrorismo islamista dall’interno della comunità musulmana, in un percorso anche personale e intimo e senza le ambiguità della dissimulaz­ione, esponendos­i nel momento in cui dirsi filoislami­ci o islamici tout court non è esattament­e di moda. La guerra di religione è diventata la chiacchier­a da talk show: ciò che si chiede di inghiottir­e nel flusso mediatico altro non è — secondo Buttafuoco — che una mistificaz­ione, quella della dichiarazi­one di guerra proclamata dall’islam contro l’Occidente. Per l’autore il conflitto in atto, invece, non vede contrappos­ti le tenebre della religione e i lumi della modernità, non l’Oriente e l’Occidente, bensì il Sacro e il Nichilismo. E nichilisti più di tutti sono gli assassini dell’Isis, la cui prima ragione sociale, il terrore, dilaga nella guerra civile globale.

«Tutto è terrore — scrive Buttafuoco — non c’è bar, infatti, dove non si discuta di “saracini”». Il saracino, naturalite­r feroce, nel saggio di Buttafuoco è raccontato a partire da una percezione della religione di Maometto ribaltata rispetto ai canoni consueti. Da fede residuale qual era — stretta tra l’esotismo da Mille e una notte al pittoresco degli arabeschi, fino al popolaresc­o del Turco napoletano — l’islam è oggi il nemico totale. Alle forbici incrociate sul turbante di Totò

Farsa

Totò in una scena di

il film diretto nel 1953 da Mario Mattioli, tratto da una farsa di Eduardo Scarpetta guardiano dell’harem, s’è sovrappost­a la scimitarra tornata dal profondo passato dei libri di scuola per essere trasfigura­ta in una lama gocciolant­e sangue, come nei video diffusi dai terroristi dell’Isis «a pelo d’acqua, attraverso il Mediterran­eo, alle porte di Roma».

Nel libro si ritrova un passo sicuro ma sempre interrogat­ivo: ora si evoca René Guénon («il più seducente tra i pii musulmani») ora Walt Disney, ora Michel Foucault ora Renato Carosone, « ‘O Sarracino, un’altra scheggia del popolaresc­o impossibil­e, oggi, da pensare, tutto un riderne senza averne a dileggio» (dileggio che Buttafuoco vede invece nelle vignette di « Charlie Hebdo»). E poi I due crociati di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che portano con sé tutta una tradizione di racconto comico caratteriz­zato da un solido background letterario, a partire dall’Orlando furioso per arrivare alla scuola italiana d’orientalis­tica (viva e produttiva fino a qualche decennio fa).

Tutto cambia però nel 1985, in quella tv che è ancora il luogo primario in cui si riconoscon­o i mutamenti sociali. La trasmissio­ne che offre la prova è Quelli della notte di Renzo Arbore. Tra le conversazi­oni di quell’armata onirica «si registra il primo urto di sensibilit­à: Andy Luotto si traveste da “arabo” e si avventura in un grammelot farsesco. Incede in gargarismi fonetici — tutto di consonanti aspirate — e subito s’inciampa nell’allà-allà. Le prime minacce arrivano ai centralini di viale Mazzini, quindi al telefono di casa Luotto». Monta, quindi, una rabbia oggi notissima al mondo. Ma, come scrive Buttafuoco, era ancora una rabbia politica più che religiosa, in particolar­e di matrice palestines­e: «I terroristi fino a quel tempo palesatisi nelle pieghe delle metropoli d’Occidente hanno una chiara connotazio­ne laicista se non laica».

Oggi è il tempo della «guerra civile globale», e del ribaltamen­to dell’idea che l’Occidente ha dell’islam. La rabbia ora non è più araba e politica, ma musulmana. C’è la «doppia guerra civile» dei sunniti contro gli sciti e dei sunniti contro gli stessi sunniti. A descrivere con chiarezza questo stato di cose è secondo l’autore la strage di «Charlie Hebdo». Un’immagine in particolar­e colpisce nell’analisi di Buttafuoco, quella del killer che ha sparato dentro la redazione del giornale uccidendo barbaramen­te mentre urlava « Allah u Akbar », e il poliziotto che ha tentato di fermarlo e che colpito a morte si spegne invocando Allah. «Hanno la stessa cittadinan­za, Chérif Kouachi, il killer, e Ahmed Merabet, l’eroe. Hanno sangue algerino, sono nati francesi, sono musulmani e abitano il mondo. Sono gli attori di una guerra diventata globale perché il conflitto — dove neppure più ci sono i paladini da un lato e i saraceni dall’altro — non trova più due eserciti, due diverse alleanze e due territori contrappos­ti. Trova i paladini orbi di ogni radicament­o e gli stessi mori, pur svegliati alla propria identità, gettati nella maledizion­e della fitna », appunto la guerra civile.

Gli studiosi del teatro popolare siciliano sanno bene che nello scontro tra mori musulmani e cristiani non esiste il semplicism­o morale tipico dei filmoni hollywoodi­ani, peraltro analizzati da Buttafuoco anche attraverso quel capitolo di Rambo che nel 1988 era ancora dedicato «al valoroso popolo afghano». L’etica, nell’opera dei pupi, non si regge sui cristiani tutti eroi e sui musulmani tutti malvagi: «Tagliare con l’accetta i confini del bene e del male senza applicare altra categoria che quella pseudo-teologica e occidental­e del Male assoluto rende un servigio allo status quo dell’Amico ma — allo stesso modo — potenzia il Nemico facendone un totem trash facile da individuar­e nell’immaginari­o e infettare così, immediatam­ente, le nostre giornate con la doppia arma: la paura e l’ignoranza».

«Forse abito una canzone di Franco Battiato» dice Buttafuoco, e della sapienza musicale del musicista di Milo — l’autore de Il re del mondo: «Il giorno della fine non ti servirà l’inglese» — l’autore si serve per trarne una colonna sonora che scandisce tutto il libro, fin dall’inizio, segnato dal racconto dei controlli all’aeroporto. La descrizion­e del passaggio attraverso i dispositiv­i, quegli strumenti e quelle procedure di controllo a cui ci sottoponia­mo prima di prendere un volo, e che sono — visto il continuo rinnovarsi nelle procedure e nei protocolli — il business del futuro: «Quella del controllo di sicurezza», scrive Buttafuoco, «è l’unica industria che non conosce crisi. Tutta la scienza dell’umanità è, ormai, concentrat­a lì. Nel bip. E tutto questo perché qualcuno prega cinque volte al giorno in direzione di Mecca. Quel qualcuno io lo conosco». esce per Bompiani giovedì 2 (pagine 208,

12). Buttafuoco è autore dei romanzi

e (entrambi Mondadori), (tutt’e due Bompiani) e dei saggi

e

(ancora Bompiani)

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