Corriere della Sera

IMPRESSION­I DI ABBADO UNA VITA PER LA IN QUASI 300 IMMAGINI L’ARTE, LA LEGGEREZZA E LA COSCIENZA

All’Opera l’omaggio fotografic­o al grande direttore scomparso un anno fa. Il sovrintend­ente del teatro legato a lui da lunga amicizia, ne ricorda, attraverso le espression­i, la riservatez­za e l’ironia MUSICA SOCIALE

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La mostra all’Opera di Firenze racconta tutto quello che si può dire di un artista che lavora con i suoni, attraverso il silenzio di una foto. Immagini che seguono passo dopo passo la straordina­ria avventura musicale di Claudio Abbado.

Dal 1964, appena trentunenn­e, agli anni scaligeri, Londra, Vienna, Salisburgo, fino all’addio ai Berliner Philharmon­iker (che per dodici anni fu la sua orchestra), nel concerto al Musikverei­n di Vienna. «Lo ricordo bene, ero lì, in programma c’era la Settima Sinfonia di Mahler. Trenta minuti di applausi, il palco riempito di fiori, le donne dell’orchestra donarono ognuna una rosa rossa ad Abbado. Ho voluto questa mostra perché lui era un musicista fuori dall’ordinario, e per un senso di gratitudin­e», dice il sovrintend­ente dell’Opera di Firenze Francesco Bianchi.

I due si erano conosciuti negli anni 90, per un concerto a Ferrara. All’epoca Bianchi lavorava in una banca di affari inglese. Quello a Firenze è il suo primo incarico in un teatro lirico. «Ma sono sempre stato appassiona­to di musica, e con Claudio ho avuto un rapporto continuati­vo nel tempo». Alle spalle della sua scrivania, c’è la locandina della Messa da Requiem che Abbado diresse nel 1967 a Firenze (nel quartetto dei solisti di canto c’era Pavarotti), a dieci anni dalla morte di Toscanini. Firenze non è sta- to il primo palcosceni­co italiano di Abbado, vi diresse tre opere: Cenerentol­a, Elektra e Simon Boccanegra. E diversi concerti, che furono frequenti negli anni 60. Ma prima vengono Milano, Ferrara. E nella vicina Bologna decise di vivere.

Dei 279 scatti, solo due sono d’autore, in posa per così dire, realizzate da Ferdinando Scianna e Ugo Mulas. Le altre sono immagini «di lavoro», prese durante le prove, così come Abbado voleva. Tutto è nato dall’impulso del photo editor Alfredo Albertone, che cominciò a raccoglier­e immagini dagli amici e poi ne fece un libro che, in copia unica, regalò al celebre direttore d’orchestra.

Spesso Abbado è con gli altri artisti con cui aveva stabilito un sodalizio profession­ale, talvolta c’era un’amicizia dietro: Pollini e Strehler, Boulez e Benigni, Argerich e Gulda, Serkin e Kissin. Ci sono le orchestre da lui create, o i giovani della «Simón Bolívar», il famoso «sistema» con cui Abreu in Venezuela ha tolto dalla periferia centinaia di migliaia di bambini che erano destinati alla malavita.

«Claudio era molto rammaricat­o che in Italia la musica non si studiasse nelle scuole», dice Bianchi, «gli altri direttori? Aveva una stima enorme di Carlos Kleiber». Eccolo alle prove di Il flauto magico che mise in scena insieme col figlio regista, Daniele, con cui, dice Bianchi, «aveva un buon rapporto, a suo modo il padre lo seguiva». Durante la malattia, ricorda il sovrintend­ente, «il suo rapporto con i Berliner cambiò, credo di averlo avvertito durante le sue esecuzioni. Quando vedi la morte in fac- cia... Però è vero, lui lo disse tante volte, la musica lo aiutò a vivere». Insomma si racconta un musicista, un uomo, con la rapidità e semplicità di un’immagine, che raccoglie la verità del momento, come l’articolo di un giornale. Sono sguardi calati su un artista riservato e con un grande senso dell’umorismo, un uomo di una leggerezza mozartiana, come disse una volta Claudio Magris; queste foto sono qualcosa di più di

Partiture Con Luigi Nono al lavoro (foto: Roberto Masotti) un diversivo, di qualcosa che occupa un posto relativo nello spazio di una vita.

Questa «musica che si vede» non ha vita breve, perché ha una componente emotiva, c’è la sua ossessione dell’ascoltarsi l’un l’altro, del «far musica insieme » (la mostra si intitola proprio così), che proiettano la dimensione sociale di un vivere la musica. Ci si avvicina a un’idea di coscienza dell’arte, unitamente al senso di un’esplorazio­ne e di una scoperta, in un mondo musicale dove tutto è simbolo.

C’è naturalmen­te il suo gesto morbido, evocativo, tante volte imitato dai direttori più giovani, che suggerisce e invita alla partecipaz­ione, al rito comune. Si costruisce via via un archivio di emozioni che brillano al di là della tangibilit­à immediata, un ricordo che si può toccare e si fa memoria nel tempo, dando l’illusione dell’eternità nell’arte più sfuggente e immaterial­e, quella dei suoni, imprimendo­si nella mente in modo indelebile.

Toccando le corde (perché no?) della nostalgia e del rimpianto: ti ricordi quella sera «con» Claudio Abbado?

Ripreso nel «fare» Soltanto due i ritratti d’autore. Per il resto sono scatti durante il lavoro. Come lui voleva Claudio aveva il rammarico che la musica non si studiasse nelle scuole. Durante la malattia il suo rapporto con i Berliner cambiò

Alla vita di Abbado, Giuseppina Manin ha appena dedicato «Nel giardino della musica» (Guanda, 176 pp, 14 euro)

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