Tra gestualità e creazione musicale Il mix che dà un’aura mitica al maestro
Il primo documento che ci resta, di un grande direttore d’orchestra, risale al 1913. Protagonista è Arthur Nikisch, capo della Filarmonica di Berlino. Ma non è un documento da ascoltare: è un documento da vedere, un filmato in cui Nikisch dirige un’immaginaria orchestra senza che alla visione si possa associare una musica. Non sappiamo cosa stia dirigendo, ma lo possiamo guardare: e in questo paradosso che coinvolge, dissociandoli, la vista e l’udito, c’è tutto il mistero della direzione d’orchestra.
Cosa fa il direttore? Comunica le intenzioni attraverso un gesto, che in parte segue una segnaletica codificata, e in parte è invece qualcosa di indefinibile. Non fa musica direttamente, fa dei gesti vedendo i quali l’orchestra produce qualcosa che si ascolta. +Come possono stare insieme due cose tanto diverse? È un’incongruenza che pone il direttore in bilico fra un alone divino e una patente di ciarlataneria (l’afi finità tra artista e pagliaccio posta da Thomas Mann nel Felix Krull). È un uomo ispirato che sta imponendo misteriosamente la propria volontà ad altri esseri umani? Oppure sta facendo uno show a spese dell’orchestra? In questa contraddizione sta il suo mito.
Naturalmente è possibile distinguere l’artista dal ciarlatano in base ai risultati, ma non lo si potrà mai fare del tutto, perché al direttore d’orchestra è impossibile fare a meno di dar spettacolo intorbidando la musica con un principio esteriore che attiene alla visione, scendendo a compromessi con ciò che si vede e legandolo a ciò che si ascolta. Questo elemento eteroclito non si può eludere perché è proprio col gesto che il direttore lavora. Nikisch era, a detta di tutti, un musicista severissimo: ma ha accettato di farsi filmare mentre dirige una musica muta (con effetto intimidatorio e lievemente comico) perché «senza agitare le braccia» non potrebbe fare il proprio mestiere.
Il rapporto tra la gestualità e l’esito musicale è stato declinato in modi diversissimi secondo I due caratteri A sinistra, il gesto elegante e austero di Evgenij Mravinskij. Sotto, l’inconfondibile sagoma alonata di luci di Leopold Stokowski in «Fantasia» caratteri, le epoche, i contesti. Con Nikisch studiarono due maestri agli antipodi fra loro: Fritz Reiner, che dirigeva in pochi millimetri di spazio, e Leopold Stokowski, che dirigeva alonato di luci azzurre, con gesto da Zeus Olimpio. Negli anni 50 e 60 si registrava una diffusa sobrietà; oggi c’è un ritorno della direzione come show, come spettacolo da guardare e non solo da ascoltare. La moda è quella dei direttori giovani, carini e molto occupati, la cui chioma, i cui sorrisi sul podio e fuori, le cui bluse luccicanti e le cui bacchette talvolta bischerrime danno ragione del successo.
Per chiudere: si cerchi su YouTube un qualsiasi video di Evgenij Mravinskij, genio della direzione, gesto di un’austerità sdegnosa. Poi si digiti «What the orchestra sees or the dancing conductor» e si vedrà un giovane maestro alla Volksoper di Vienna, che sballonzola, fa delle facce incredibili, danza, ammicca, volteggia. È tutto necessario alla musica? Forse no (forse sì): certo è uno spettacolo esilarante, irresistibile. Tutto da vedere.
Nikisch, nel 1913, si fa riprendere in un filmato ma non vuole aggiungere l’audio Dal podio impossibile non intorbidare la musica con un principio esteriore