Ecclestone rottama la sua F1 «È vecchia, bisogna ripararla»
«Basta gallerie del vento, punti per la pole, Monza rischia». Nel mirino Todt
«La F1 è una vecchia casa che ha bisogno di essere riparata». Bernie Ecclestone parte da una piccola ammissione. Un eufemismo rispetto alla situazione disastrosa economicamente (a Melbourne c’erano 15 macchine in griglia; la Manor è un team fantasma; Force India, Lotus e Sauber stanno in piedi solo con i soldi di Bernie; il Gp di Germania è stato cancellato; gli ascolti calano) e poco stimolante sportivamente. Ma almeno non nega che il problema ci sia, tanto che ha convocato d’urgenza i team principal (pare si sia trovato un accordo per ritornare a 5 motori a stagione).
«Cosa abbiamo deciso? La data del prossimo incontro», risponde sarcastico Bernie, un po’ allergico alla democrazia tanto da rimpiangere il pugno duro del vecchio presidente della Federazione Max Mosley (sì quello delle sculacciate vestito da nazista). «Sono deluso dalla F1. Quando ho acceso la tv e ho visto che in Australia c’erano 15 macchine ho capito sarebbe stata una gara di m... Poi le Mercedes passeggiavano...». Si dice che i tedeschi si frenino apposta. Più aumenta il loro dominio, più la F1 diventa noiosa, più cresce il partito di chi vuole cambiare le regole, capeggiato dalla Red Bull. «Non puoi rimproverare alla Mercedes di aver fatto un buon lavoro — continua Bernie —. Il problema non sono loro, sono gli altri. Poi se vuoi cambiare le regole serve il loro ok».
Bernie Ecclestone, 84 anni (Getty) Come Sinatra Se Sinatra lascia, non gli affianchi uno che canta come lui: chi verrà dopo di me cambierà tutto
Ecclestone era sembrato al fianco della Red Bull; ora non fa sconti neanche a Helmut Marko che ha minacciato di lasciare la F1: «A volte la gente parla senza pensare. E poi decide Mateschitz, non lui». In realtà Ecclestone cambierebbe un po’ tutto. Gli piace solo Lewis Hamilton («Il miglior campione del mondo che abbiamo avuto»), una star che promuove la F1, «mentre Vettel, come Alonso, non ha fatto niente». Boccia i piloti, i team principal («Se si svegliassero si potrebbe cambiare subito, non nel 2020. Io ho messo la vita in questo sport e guadagno meno di molti di loro»), i motori attuali. Ha una serie di proposte (temerarie) per rendere i costi più sostenibili e aumentare lo show. «I costruttori devono mettere a disposizione dei piccoli motore e telaio. E poi aboliamo subito le gallerie del vento, le telemetrie, i simulatori. Quanto al format, darei 10 punti per la pole e 10 per la vittoria della gara. Chi è in pole parte dodicesimo».
Ma Bernie ha nel mirino l’intera governance della F1, che ora si regge su un triangolo: i team, la Fia e lui. Per Bernie questa struttura consegna all’immobilismo. Toglierebbe potere ai team («È totalmente sbagliato che i concorrenti partecipino alla stesura delle regole») e amerebbe decidere lui con un altro presidente federale. «Jean Todt vuole che tutti siano felici. Invece a Mosley, o a me, non importa niente». Nel paddock c’è persino chi dice che Bernie stia consapevolmente abbassando il valore della F1 per ricomprarsela dal fondo Cvc, proprio con Mosley.
Quanto ai Gp europei che rischiano di scomparire, declina ogni responsabilità. «Chiedo troppo agli organizzatori? Forse è vero. Ma i team prendono il 62% di quello che io incasso. I governi poi sponsorizzano tanti eventi, possono farlo anche con la F1. Monza potrebbe essere il prossimo Gp a saltare? Forse». Di sicuro non pensa di aver bisogno di un aiuto. «Non sono un buon insegnante. È come se Sinatra si stesse ritirando e volessero affiancargli uno che canti come lui. Chi arriverà dopo cambierà tutto».