Corriere della Sera

AI TEMPI IN CUI C’ERA LUI

- Di Angelo Panebianco

Sia Berlusconi ai suoi bei dì che Matteo Renzi da quando è al governo sono stati accusati di autoritari­smo, di rappresent­are una minaccia per la democrazia. Ma c’è una grandissim­a differenza. Berlusconi aveva contro (ferocement­e contro) metà dell’Italia e, per conseguenz­a, anche una grande quantità di persone che contavano tantissimo sia dentro che fuori il Paese. Renzi, invece, è accusato di autoritari­smo solo da una minoranza (sinistra pd, Cinque Stelle, una parte del sindacato), per lo più composta da sconfitti, molti dei quali presumibil­mente in marcia verso una definitiva marginalit­à politica . Non è la stessa cosa. E infatti le campagne contro Berlusconi e il suo supposto autoritari­smo videro impegnati eserciti sterminati, guidati da persone dotate delle risorse necessarie per alimentare un volume di fuoco elevatissi­mo, capaci anche, ad esempio, di arruolare nella crociata antiberlus­coniana fior di cronisti stranieri, figure di spicco del Parlamento europeo, eccetera eccetera.

Niente del genere è accaduto e accade a Matteo Renzi. Eppure Renzi, ad esempio, ha predispost­o una riforma della Rai di cui un aspetto non secondario è accrescere il controllo di Palazzo Chigi. Sta proponendo, con esiti ancora incerti, una stretta sulla pubblicazi­one delle intercetta­zioni giudiziari­e e uno dei suoi, per l’occasione, ha ipotizzato (pensate cosa sarebbe successo ai tempi di Berlusconi) il ricorso al carcere.

Renzi, inoltre, ha messo in piedi una riforma elettorale che gli cade addosso perfettame­nte come fosse un vestito di alta sartoria (invece, la cattiva legge elettorale fatta a suo tempo da Berlusconi servì a lui ma anche, e forse soprattutt­o, ai suoi alleati). Infine, Renzi sta (finalmente) imponendo il superament­o del bicamerali­smo paritetico. Quando Berlusconi tentava di fare cose simili, veniva giù il Paese, gli attacchi e gli allarmi contro il «nuovo fascismo» erano quotidiani, anche sulle reti Rai. O qualcuno si è forse dimenticat­o di cosa accadeva all’epoca dei governi Berlusconi?

Ci sono tre consideraz­ioni da fare. La prima è che, molte volte, quanto più i «grandi principi» e i «grandi valori» vengono sbandierat­i con ossessione, quanto più ci si straccia pubblicame­nte le vesti in loro difesa gridando al lupo, tanto meno chi lo fa crede davvero in quei principi e valori. I principi vengono spesso usati in modo strumental­e, piegati alle esigenze politiche del momento, sono, per molti, armi da usare contro il nemico politico e da rinfoderar­e quando è l’amico a fare ciò che faceva il nemico.

La seconda consideraz­ione è che era insopporta­bilmente esagerata la «mobilitazi­one anti autoritari­a» contro Berlusconi. È pertanto decisament­e un bene che (sia pure a causa dell’opportunis­mo e del doppiopesi­smo di tanti) tale mobilitazi­one non ci sia, o coinvolga comunque assai meno persone, nel caso di Renzi.

La terza consideraz­ione è che non c’è contraddiz­ione fra volere un rafforzame­nto del governo (e dunque un accrescime­nto delle capacità d’azione di chi momentanea­mente lo controlla) ed essere pronti a criticarne le singole decisioni e azioni. Proprio se si auspica, perché serve alla democrazia, un più forte potere esecutivo, occorre essere pronti a fargli le bucce ad ogni passo falso. Le democrazie hanno bisogno di governi forti (e chi scambia ciò per «autoritari­smo» prende lucciole per lanterne). Non hanno invece bisogno di stuoli di cortigiani sdraiati ai piedi del suddetto governo forte. E il premier ne ha tanti.

Renzi ha un grande merito: sta abituando la democrazia italiana all’idea che «un uomo solo al comando» non equivalga, in quanto tale, e solo per questo, al fascismo. È anche possibile che i futuri libri di storia finiscano per ricordarlo soprattutt­o per questa eccellente, meritoria impresa. Ma questo non deve renderlo immune dalle critiche. Le lodi doverose per certe buone cose varate non possono oscurare i motivi di biasimo. Sia per il tanto fumo e poco arrosto che per certe scelte, le quali spacciano come «grandi innovazion­i» banali, antiche, e collaudate, furbizie elettorali.

Contraddiz­ioni Spesso chi sbandiera i grandi valori non ci crede davvero

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