Quei punti di contatto tra Lubitz e i killer di massa statunitensi
Andreas Lubitz somiglia sempre di più agli sparatori di massa americani. Quelli che vanno in ufficio o in una scuola e compiono un massacro. Il killer stermina chi ritiene — ingiustamente — sia responsabile dei suoi guai. E l’atto finale è spesso il suicidio. C’è chi si tira un colpo in testa e chi, come il copilota, spinge l’Airbus verso l’ostacolo naturale. La montagna. In molte storie gli stragisti, con profili diversi, sono passati all’azione per fasi. Quelli di Columbine hanno preparato un piano durato anni, perché si consideravano guerrieri incompresi. Parlavano di «rivoluzione», erano assassini. Adam Lanza, il ragazzo che ha sterminato i bimbi di Newtown, ha colpito alla vigilia di un trasferimento. Non è certo che quella sia la causa, ma è una delle ipotesi. C’è sempre un elemento scatenante ravvicinato. Le notizie che trapelano dalla Germania sostengono che Lubitz dovesse sottoporsi ai test di idoneità. Forse temeva che venissero a galla i problemi fisici. Il suo sogno era stato sempre quello di pilotare aerei, c’era riuscito e voleva diventare comandante. Una carriera ora in pericolo. Di nuovo sono tanti i paralleli con quanti hanno imbracciato un fucile per sfogarsi contro chi non aveva fatto proprio nulla. In queste situazioni ci si chiede sempre se qualcuno, dai medici ai familiari, non abbia mancato di cogliere un segnale. Non sta a noi giudicare, ma spetta agli inquirenti capire. Lubitz avrebbe detto alla sua ragazza: «Un giorno tutti conosceranno il mio nome». Per questo c’è chi suggerisce di non citare mai sui media l’identità dei killer di massa. Per non dare loro la notorietà che cercano.