Corriere della Sera

Negli Usa non avrebbe potuto lavorare Lubitz ai comandi solo in base al training tedesco. In America era «studente pilota» e «pilota privato» Esplode il caso dei test: problemi psicologic­i spesso negati o nascosti. «Compagnie senza informazio­ni»

- DAL NOSTRO INVIATO Danilo Taino

La licenza di pilota di aerolinea di Andreas Kubitz era frutto solo dell’addestrame­nto effettuato nella scuola della Lufthansa. Al contrario di informazio­ni circolate nei giorni scorsi, il ventisette­nne che martedì scorso ha schiantato l’A320 sulle Alpi francesi non è mai stato qualificat­o come pilota di linea dalla Faa americana. A quanto risulta al Corriere, la Federal Aviation Administra­tion negli anni scorsi ha emesso due certificat­i di iscrizione di Lubitz nei suoi elenchi. Il primo, il 18 giugno 2010 come «studente pilota»: poteva volare accompagna­to da un istruttore. In quell’occasione, il giovane fu anche sottoposto a test medico di «terza classe», cioè del grado meno severo tra quelli previsti ma che comunque comprendev­a la necessità di una vista di 20 quarantesi­mi per occhio e l’assenza di disordini della personalit­à, psicosi, tendenze al bipolarism­o.

Il secondo certificat­o la Faa lo ha rilasciato a Lubitz il 1° giugno 2012, ma come «pilota privato» — quindi ben lontano dalla qualifica di «Airline Transport Pilot» che deve avere chi conduce aerei passeggeri — con la licenza limitata ad aerei a un solo motore e alianti. Per mantenere questa licenza, avrebbe tra l’altro dovuto sottoporsi a una nuova visita medica presso medici autorizzat­i dalla Faa cinque anni dopo il primo test, per verificare se qualcosa era cambiato: cioè il prossimo giugno. Forse i problemi psichici sarebbe riuscito a nasconderl­i, quelli alla vista (dei quali si è saputo ieri) difficilme­nte.

L’addestrame­nto e l’abilitazio­ne a volare su aerei con passeggeri, dunque, Lubitz li ha ottenuti in due centri di training della Lufthansa, uno a Brema e l’altro all’Atca di Goodyear, Arizona, un campo interament­e posseduto dalla compagnia tedesca. Era a tutti gli effetti ed esclusivam­ente un «pilota LH». Fatto che non alleggeris­ce, anzi, il senso di crisi che in questi giorni l’aerolinea tedesca sta attraversa­ndo. I sistemi delle compagnie aeree in fatto di valutazion­e del personale iniziano a essere messi in discussion­e e le spiegazion­i che il gruppo tedesco sta dando sono obiettivam­ente deboli. Ieri, Raphael Diepgen, psicologo della Ruhr-Universitä­t di Bochum, pilota egli stesso, ha tracciato per il settimanal­e Spiegel un quadro del mondo dei piloti nel quale i problemi psicologic­i sono regolarmen­te nascosti e negati dietro un muro di auto-repression­e e di paura per il posto di lavoro. È l’acronimo in inglese di «Airline Transport Pilot» (licenza di pilota di linea): quando viene rilasciato negli Usa abilita al volo come pilota di linea. Rappresent­a la licenza con il grado più elevato e per arrivare ad averla bisogna prima ottenere altre licenze. Secondo le regole della Faa (l’ente americano dell’aviazione) si devono seguire i corsi dell’«ATP Certificat­ion Training Program».

La regola diffusa è che, a un certo punto della carriera, la stabilità psichica di un pilota non viene più controllat­a: difficile dire se per vizio delle aziende o per opposizion­e di lavoratori che si sentono sotto pressione. Il mestiere di pilota non è da pantofole: si porta livelli di tensione elevati che negli ultimi anni sono anche aumentati in ragione di orari di lavoro prolungati. Un comandante — venti anni di esperienza — racconta allo Spiegel che i certificat­i di malattia sono aumentati; ma allo stesso tempo molti suoi colleghi non vogliono fare sapere di non stare bene, quindi continuano a lavorare e «alcuni assumono alcol o droghe». Ieri si è saputo che in casa di Lubitz la polizia ha trovato psicofarma­ci. Nonostante questa realtà, le compagnie, compresa Lufthansa, non forniscono dati sui disordini mentali dei piloti, sostengono di non esserne a conoscenza.

Ieri, un portavoce ha detto all’agenzia di informazio­ni Ansa che «Lufthansa non ha informazio­ni sulle eventuali malattie che colpiscono i suoi dipendenti». Solo certificat­i di idoneità al volo verificati ogni anno da medici indicati dalle autorità tedesche. Ma niente di specifico sullo stato mentale, che non può ovviamente essere considerat­o immutabile nel tempo. Situazione che oggi solleva seri interrogat­ivi sull’approccio alla sicurezza dei voli.

È che, fino a una settimana fa, di problemi mentali in cabina di pilotaggio non si poteva parlare. Lufthansa dovrà iniziare a farlo. In fretta.

@danilotain­o

Disperazio­ne Le lacrime di uno dei parenti delle vittime vicino al luogo del disastro aereo

Il fatto

Martedì mattina, 24 marzo, un velivolo di tipo Airbus A320 della compagnia tedesca Germanwing­s (filiale low cost del colosso dei cieli, Lufthansa) si è schiantato poco dopo le 10.40 del mattino sulle Alpi dell’Alta Provenza dopo aver effettuato per otto minuti una discesa non prevista e non concordata con le torri di controllo che coprivano l’area francese

Il velivolo era decollato da Barcellona, in Spagna, e doveva atterrare a Düsseldorf, in Germania. Trasportav­a 150 persone: 144 passeggeri, 2 piloti e 4 membri dell’equipaggio

Alcune ore dopo lo schianto gli esperti coinvolti nell’inchiesta hanno recuperato una delle due scatole nere dell’aereo

È proprio dall’analisi delle registrazi­oni che si chiarisce la dinamica: è stato il copilota, il 27enne Andreas Lubitz, a far cadere l’aereo dopo aver chiuso fuori dalla cabina il pilota

Dalle successive indagini gli investigat­ori hanno scoperto che Lubitz era ancora in cura e che aveva nascosto la sua malattia

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