Corriere della Sera

Bongiorno: questa vicenda mi ha cambiato

- Al. Cap.

uesto processo mi ha cambiato». Gli otto anni delle udienze Kercher sono in una grande stanza dell’ufficio nel cuore di Roma di Giulia Bongiorno, lo stesso che fu di Giulio Andreotti — «sì era del Presidente, i mobili sono nuovi ma li ho disposti proprio come prima» — e ci sono decine di fascicoli, centinaia di foglietti di diversi colori, migliaia di carte: «È il metodo arcobaleno, i diverso colori indicano la gradualità degli indizi...con così tante carte è fondamenta­le e io, tranne che pensare a mio figlio, nell’ultimo anno non ho fatto altro». Ex presidente della Commission­e giustizia (finiana, Pdl), nel cda della Juventus, un figlio di quattro anni e una carriera decollata a ventotto anni con i processi Andreotti. Dal 2004 — «assolto», gridò alla lettura della sentenza — a venerdì notte, Giulia Bongiorno nei grandi processi non solo c’è, ma solitament­e vince: da Bruno Romano nel caso Marta Russo al «banchiere di Dio» Pacini Battaglia fino, appunto, a Raffaele Sollecito. Una vita trascorsa nelle aule di tribunale eppure, dice, è stato quest’ultimo a cambiarla: «È accaduto un episodio che mi ha dato i brividi: se me l’avessero detto qualche anno fa non ci avrei creduto. Perché ho sempre pensato che alla fine prevalesse la giustizia, che le investigaz­ioni fossero fatte a regola d’arte. Ma questa volta accanto ai tabulati telefonici abbiamo trovato Ieri e oggi Giulia Bongiorno venerdì a Roma ( e il 2 maggio 2003 dopo l’assoluzion­e di Giulio Andreotti epiteti, volgarità e insulti rivolti dagli operatori di polizia ai familiari di Raffaele, e ho capito che ci poteva essere animosità. Io mi sono sempre fidata degli investigat­ori ma quello che è successo ha cambiato molto in me, come capire per la prima volta che non tutto è come dovrebbe essere...». Tra gli indizi contro i quali ha dovuto lottare mette anche «Le immagini di Raffaele e Amanda che si baciano davanti alla casa: micidiali». In tutti questi anni si è discusso a lungo di processo mediatico: «I media hanno inciso molto in questo processo, ci sono stati testimoni arrivati a processo dopo aver visto la tv... Ma io credo che l’immagine che l’opinione pubblica aveva dell’“orco” Raffaele sia migliorata col passare del tempo. Ma sia chiaro: il processo l’abbiamo vinto in aula». Ecco: per anni, questa, è parsa la storia di una condanna inevitabil­e. «Ma c’è un momento preciso nel quale la storia cambia ed è quando arriva la perizia sulle prove scientific­he del secondo grado, perché in quel Dna si poteva riconoscer­e anche il profilo del presidente della Corte...». Nega qualunque ipotesi di denuncia verso i magistrati che hanno giudicato colpevoli Amanda e Raffaele: «La responsabi­lità civile dei magistrati è uno strumento utile ma va usato con cautela, altrimenti la conseguenz­a è che nessuno giudice annullerà più le sentenze».

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