Quel coltivatore del dubbio amato dalla gente più che dal partito
base e democrazia rappresentativa, fondato sul primato delle assemblee elettive. Non funziona, aggira il nodo cruciale della decisione, stempera il principio di maggioranza, offusca il ruolo del conflitto, gli obiettano, con un rispetto politico e intellettuale che non è più di questo mondo, autorevoli interlocutori come Norberto Bobbio e Giuliano Amato. Vero. Ma ciò non impedisce che, in particolare con quest’ultimo, Ingrao discuta pacatamente persino della Grande Riforma craxiana e di un presidenzialismo che certo non condivide. E che (nel 1985!) sia lui a proporre, inascoltato, un’assemblea e un governo costituenti, e a battersi (chissà se qualcuno lo ha detto a Matteo Renzi e ai suoi avversari) per il superamento del «bicameralismo perfetto».
Su movimenti, politica e potere non cambierà idea nemmeno dopo la sconfitta storica sua e della sua parte, nel 1989. Commuove i militanti, il vecchio comunista testardo che si fa portare in motorino alle manifestazioni della sinistra sinistra. Ma ancora nel suo ultimo intervento politico in pubblico (Social Forum di Firenze, novembre 2002), il cui video inedito è ora sul sito del Corriere, si rivolge a una platea di giovani pacifisti radicali come un nonno segnato da tante, dure repliche della storia convinto però di avere, nonostante tutto, qualcosa da trasmettere ai nipoti: «Non basta la passione vostra, la politica chiede potere e deve saper intervenire sul potere». Chissà se è un appello al realismo o un’utopia novecentesca. Ancora auguri, Pietro.