Il re dei gioielli cresciuto in bottega
Come il papà Gianmaria Buccellati è morto ieri a 85 anni. Quarto di cinque fratelli, seguì la carriera del padre Mario, orafo di D’Annunzio e Eleonora Duse Gianmaria a raccogliere il testimone e a potenziare dal punto di vista internazionale l’insegna che sventola già a New York e a Palm Beach e conquista gradualmente l’estremo Oriente.
Qual è uno dei primi decisivi regali che l’innamorato armatore greco Aristotele Onassis fa a Jacqueline, vedova Kennedy? Una parure di Buccellati, che lei già conosceva frequentando il negozio sulla Quinta Strada a Manhattan.
E a chi telefona Gregory Peck quando deve celebrare con un regalino da svariate migliaia di dollari un anniversario di matrimonio? Al sciur Gianmaria.
Tutto sembra andare a gonfie vele ma, la storia di Gucci insegna, quando un fondatore molla e gli eredi sono numerosi, non è facile trovare una via condivisa. Così tra fine ’60 e inizio ’70 le vie dei Buccellati brothers si dividono: Giorgio fa l’archeologo, Federico, Lorenzo e Luca da una parte, Gianmaria con il fior fiore degli artigiani del laboratorio milanese dall’altra.
Come da inevitabile trama, scorrerà diversa carta bollata con spiegamento di avvocati ma non sarà una rottura definitiva.
Perché Gianmaria, che nel frattempo aveva varato un marchio personale ed era approdato nella parigina place Vendôme, nel 2011 trova l’accordo con l’altra ala della famiglia nella Buccellati Holding Italia in cui lavorano i suoi tre figli, Andrea oggi presidente, Maria Cristina e Gino.
C’è una hit parade nella storia-catalogo Buccellati? «Tutti i nostri oggetti — amava ripetere — dalla spillina al diadema reale sono fatti con amore. Il lato commerciale viene dopo».
Impossibile però non ricordare gli anelli con le foglie d’edera stilizzate, gli orecchini a forma di farfalla, i gioielli a tulle con diamanti incastonati, la Coppa dell’Amore, rococò con forme femminili, il Cratere delle Muse, insieme di giada, oro e argento e la Coppa del Sacro Graal, ammirata a Venaria.