Organizzazione I 30 componenti della «Orpheus» si autogestiscono e si scambiano i ruoli
singolare e plurale non ha mai avuto fortuna nei confini italici. Non a caso abbiamo avuto Mussolini e non Churchill.
Ma recentemente il tramonto degli assetti gerarchizzati e il progressivo diffondersi di culture organizzative più decentrate hanno creato un fabbisogno di conduzione più partecipativa. Di qui il diffondersi dell’elogio alla collaborazione e della mitologia dello spirito di squadra (i cuochi delle brigate in cucina, gli allenatori delle squadre sportive, i direttori di orchestra, e così via). Probabilmente siamo ad un punto in cui il collettivo è così cruciale da rendere la leadership autocratica meno necessaria. Ma dove prendere nuovi spunti per le buone pratiche?
Il prossimo arrivo in Italia della Orpheus Chamber Orchestra statunitense (in tournée in Europa dopo molti anni di assenza e al Bologna Festival il 15 aprile), unica orchestra al mondo senza podio e senza direttore, può essere un’utile occasione per una riflessione sulle organizzazioni professionali senza leadership, o, meglio, con una leadership «distribuita» e consensuale. La posizione del direttore d’orchestra è forse il ruolo più iconico dell’autocrazia. La leggenda sul direttore tiranno si porta dietro mille aneddoti e citazioni: «L’orchestra è un mezzo della mia creazione», diceva Bruno Walter; «Dio mi dice come la musica va suonata; peccato che lei ci si metta in mezzo», così apostrofava un trombettista l’umorale Toscanini; fino a ricordare Artur (1924) del pittore surrealista Joan Mirò (1893–1983), conservato all’Art Gallery di Buffalo (particolare)