Corriere della Sera

Il divo della lirica in scena con «Cavalleria rusticana» e «Pagliacci»

- Giuseppina Manin

«Sono tedesco ma ho il cuore latino» assicura Jonas Kaufmann, il più amato e conteso dei tenori. « Un po’ l’avevo sempre sospettato — riprende — ma la prova l’ho avuta in questi giorni a Salisburgo vestendo i panni focosi di Turiddu e di Canio per Cavalleria rusticana e Pagliacci ».

Capolavori del nostro verismo che hanno aperto il Festival di Pasqua diretto da Christian Thielemann, che quest’anno celebra l’Italia.

«Sono due personaggi a tinte forti, dominati entrambi dalla passione e dal sangue. È la prima volta che affronto simili ruoli, una doppia sfida. La musica di Mascagni e Leoncavall­o mi ha trascinato dentro un gorgo di amore folle, gelosia, morte. E alla fine, mi sono scoperto uomo del Sud anch’io».

In effetti, quei ricci e capelli scuri, la solarità nel cantare, il fascino mediterran­eo… Sicuro di essere tedesco?

«Per quel che ne so… Però, indagando un po’, ho scoperto che in Turingia, la regione da dove viene la mia famiglia, nel XVI secolo si erano stabiliti molti ebrei italiani. Se qualcosa è successo, è successo allora… Ma il mio amore per l’Italia è indubbio. Nel vostro Paese ho trascorso molte estati da bambino sui lidi della Romagna, ho imparato ad amare la vostra lingua. Memorie che racconto nella mia biografia, appena uscita in Germania».

Tornando ai due atti unici di Mascagni e Leoncavall­o, cosa l’ha colpita di più in quelle storie?

«Il terribile amore che le accomuna. Un amore inteso come possesso assoluto dentro una società maschilist­a, violenta, arcaica ma purtroppo molto attuale. Dove gli uomini accoltella­no le loro donne, i “compari” si abbraccian­o e si pugnalano nello stesso momento secondo le leggi dell’“onore” e della mafia. In Cavalleria Turiddu sa che il suo desiderio per Lola, ormai sposa di Alfio, lo porterà alla morte. Lo sa, ma segue il suo destino. Avere al mio fianco due cantanti italiani come Annalisa Stroppa e Ambrogio Maestri, mi aiuta a entrare nell’atmosfera».

E Canio invece, il tragico pagliaccio?

«Un altro dramma di gelosia mortale. Anche più agghiaccia­nte se si pensa che la storia si ispira a un fatto accaduto davvero. Un tradimento da lavare con il sangue, un “divorzio all’italiana” ma senza l’ironia di Germi. L’amore di Canio si trasforma in odio, tanto da voler infilare la lama nel “fetido sangue” della moglie Nedda. Sentimenti estremi, fantastici per un cantante, ma indegni per un uomo».

Come fa a pronunciar­e simili parole e crederci?

« Il verismo è scioccante. Non puoi prenderne le distanze, devi lasciarti travolgere dalle emozioni. Opere così bisogna prenderle sul serio. La bravura tecnica e vocale non basta, resterebbe vuota. Devi crederci. Anche se esclusivam­ente per il tempo dello spettacolo». E poi? « Tornare subito nei tuoi panni di “uomo del Nord”. Essere un po’ più freddini ha i suoi vantaggi».

Lei alterna il repertorio italiano e quello tedesco. Che differenza fa per un cantante?

«La musica tedesca richiede di usare prima la testa per capire e poi il cuore per emozionare. Quella italiana è il contrario: devi esprimere emozioni senza pensare alle conseguenz­e».

In questi stessi ruoli, con «Cavalleria» e «Pagliacci», lei era atteso a giugno anche alla Scala. Così almeno era scritto

Il profilo

Jonas Kaufmann (a sinistra in un momento di «Pagliacci») è nato a Monaco di Baviera il 10 luglio del 1969 Ha iniziato la sua carriera come tenore allo Staatsthea­ter di Saarbrücke­n, nel 1994

Si è esibito nei teatri più grandi del mondo, dalla Scala al Metropolit­an, specialmen­te cantando ruoli in tedesco e in italiano È sposato con la cantante d’opera Margarete Joswig e ha tre figli nel programma...

«Mi spiace ma non ho mai confermato quell’impegno. Il mio calendario in quelle date era già fin troppo pieno. Se voglio garantire la massima qualità alla mia voce non devo sottoporla a eccessivi tour de force. Avevo subito avvisato il sovrintend­ente Pereira in modo di dargli modo di trovare un sostituto. Ma lui pensava che avrei cambiato idea».

In compenso a giugno arriverà per un concerto lirico.

«Tutto dedicato all’Italia. Pereira mi aveva proposto una serata di lieder, ma io adoro l’opera italiana. Verdi è nel mio cuore. Così voglio rendere omaggio alla vostra lirica con un’antologia di arie celebri».

È vero che per un cantante, un tenore soprattutt­o, cimentarsi alla Scala in un titolo italiano comporta dei rischi?

«Succede dappertutt­o. Il bello della lirica è anche questo, suscitare entusiasmi e contrasti. È un privilegio che vale bene qualche brivido. D’altra parte, alla Scala ho sempre ricevuto ottime accoglienz­e tanto che conto di tornarci presto. E proprio con un titolo italiano».

La musica composta in Germania impegna prima la testa e poi il cuore, la vostra fa il contrario

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