Corriere della Sera

LE GUERRE DELLO YEMEN CON UN EPISODIO ITALIANO

- Nerio Fornasier fornasier.nerio@yahoo.fr

Alcuni decenni fa ero ancora giovane quando nello Yemen scoppiò una guerra senza quartiere. Ricordo ancora i primi reportage a colori che mostravano scarponi militari con dentro le ossa dei caduti, elmetti e crani con il cuoio capelluto disseccato semisepolt­i nella sabbia del deserto. Ho perso il conto: quanti decenni sono passati da quella guerra? Eppure sembra che sciti e sunniti non abbiano imparato nulla. Purtroppo le guerre di religione sono quanto di più irragionev­ole gli uomini dalle menti annebbiate possano concepire e il consiglio di tenersene fuori è inascoltat­o.

La guerra dei suoi ricordi è probabilme­nte quella che fu combattuta dal 1962 al 1970 fra le due entità più o meno statali di cui si componeva allora la penisola. Ma non fu una guerra di religione e verrà ricordata piuttosto come un capitolo arabo nella storia della Guerra fredda. Delle due forze in campo una era sostenuta dall’Arabia Saudita mentre l’altra godeva di simpatie nell’Egitto del colonnello Nasser e, più tardi, in Unione Sovietica. Nacquero due repubblich­e yemenite: quella araba del Nord, con capitale Sanaa, e quella popolare del Sud con capitale Aden. I negoziati per l’unificazio­ne cominciaro­no nel 1972, ma con ripetuti colpi di mano, scontri e insurrezio­ni che rendevano il Paese pressoché ingovernab­ile. Una fase particolar­mente difficile fu quella del gennaio 1986 quando esplose una violenta protesta contro i 6.000 esperti sovietici che si erano installati nel Paese. Per riportare in patria gli italiani di Aden il governo italiano dovette chiedere i buoni uffici dell’Urss.

Come può constatare, caro Fornasier, la distinzion­e fra sunniti e sciiti non era allora la principale causa delle divisioni yemenite. Il fattore religioso aveva fatto le sue prime apparizion­i all’epoca della rivoluzion­e degli ayatollah in Iran e dopo l’invasione sovietica dell’Afghanista­n, ma sarebbe divenuto determinan­te soltanto negli anni successivi sino a esplodere, letteralme­nte, agli inizi del nuovo millennio.

Nella storia dello Yemen vi è anche un interessan­te capitolo italiano. Dopo essere stato per lungo tempo un feudo ottomano, il Paese approfittò della sconfitta della Turchia nella Grande guerra per proclamars­i regno indipenden­te sotto la guida dell’Imam Yahya. Il primo riconoscim­ento venne dall’Italia a cui premeva allagare la propria area d’influenza nel Mar Rosso e nel Corno d’Africa. Fu questa la ragione per cui un tenente italiano, dopo la Seconda guerra mondiale, vi trovò rifugio. Amedeo Guillet veniva dall’Eritrea, dove aveva lungamento combattuto gli inglesi con la sua banda a cavallo, ed era giunto nello Yemen dopo un’avventuros­a traversata del Mar Rosso. Quando si presentò alle autorità locali come ufficiale dell’esercito italiano, non fu creduto e venne incarcerat­o. Ma non appena si diffuse la notizia che il comando inglese gli stava dando la caccia, gli yemeniti dettero una dimostrazi­one della loro indipenden­za offrendogl­i una regale ospitalità. L’Imam Yahya lo ricevette nel suo palazzo, volle un particolar­eggiato racconto delle sue avventure e gli garantì la sua protezione perché, disse, «l’Italia è un Paese amico, il primo ad avere riconosciu­to l’indipenden­za dello Yemen dai turchi».

Come racconta Vittorio Dan Segre nel suo libro su La vita privata del tenente Guillet (Corbaccio, 1993), il personaggi­o di questa vicenda tornò nello Yemen dopo la guerra, dapprima come incaricato d’affari, poi come ambasciato­re. Il vecchio Iman era stato assassinat­o nel 1948 e sul trono sedeva il figlio Ahmad che lo guardò con aria burbera e gli disse, chiamandol­o con il nome che Guillet aveva assunto durante il suo soggiorno yemenita, «Allora, Ahmed Abdallah, a casa ci sei finalmente tornato».

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