L’idea di Europa oltre i confini
Che strano vedere il capo di stato francese, e il nostro premier, sfilare in corteo per le strade di Tunisi, fra il popolo sventolante bandiere rosse. Che strano vedere l’Occidente che marcia in Nord Africa. Che effetto mi fa! Quasi di strana, infantile speranza.
È probabile, pressoché certo, che né Matteo Renzi né François Hollande avrebbero partecipato alla manifestazione di ieri se fra le vittime dell’attentato al museo non vi fossero stati dei connazionali. Non ricordo di un impegno simile in occasione di altri massacri, anche recenti, avvenuti oltremare. Per esempio, ignoro quali europei illustri (se ve n’erano) abbiano preso parte alla marcia di Niamey contro Boko Haram, il 17 febbraio scorso. A ripensarci, anche durante le primavere arabe l’Europa della rappresentanza è rimasta volentieri dentro i propri confini, a osservare gli sviluppi con le braccia conserte, pur incuriosita, come una specie di altera tifoseria.
Ma stavolta è diverso. Ci sono le vittime italiane e francesi e spagnole, gli ardori della grande marcia parigina non sono ancora spenti e, soprattutto, è ben impressa in noi l’immagine dell’antagonista: l’uomo nero dell’Isis, viso fasciato e mitra a tracolla. Dopo i fatti di Parigi ne abbiamo parlato e riparlato, abbiamo evocato l’Isis tanto da renderlo qualcosa di reale nelle nostre menti, un esercito di morte in rapida avanzata, un cancro aggressivo laddove, prima, il terrorismo ci appariva piuttosto come un’eruzione cutanea, atopica e fastidiosa ma tutto sommato trascurabile. Si sa che nulla unisce i popoli più di un nemico comune, e ora quel nemico c’è.
Occorreva tutto questo dunque, occorrevano le atrocità scenografiche, i morti e la macabra propaganda, per muovere l’Europa a compiere un gesto abbastanza semplice: attraversare il Mediterraneo e, per una volta, unirsi simbolicamente a quella parte di cittadini che auspica una democrazia e una libertà che noi diamo per scontate. Sono certo che per molti sia stato importante, commovente perfino, vedere le nostre più alte cariche istituzionali camminare alla loro testa. Isocrate diceva: «Considero europei coloro che sono partecipi della nostra cultura». Stando al suo paradigma, ieri le strade di Tunisi erano invase di europei.
Dovremmo farlo più spesso. Forse, incassata la vergogna del colonialismo, l’Europa tutta dovrebbe ritrovare il coraggio di affacciarsi oltre i propri confini, e di esportarsi, non come potenza stavolta, ma come idea. E se, facendolo, si scoprisse più influente, perfino più estesa di quanto non sia disposta a credere? «I limiti della geografia non sono mai stati quelli dello spirito», disse Camus, e la marcia di Tunisi testimonia che esiste un’Europa più grande (e più viva) di quella che siamo soliti considerare. Un’Europa, fra l’altro, perfettamente in grado di tenere testa all’Isis o a chicchessia.
Voglio allora convincermi che il nostro premier e gli altri rappresentanti avrebbero marciato comunque a Tunisi, anche in circostanze diverse, anche se all’interno del Museo del Bardo non fossero rimasti intrappolati dei nostri. E voglio convincermi che d’ora in poi questo genere d’incontro avverrà con frequenza sempre maggiore. Un incontro in carne e ossa come quello di ieri, però. Non le dichiarazioni formali di solidarietà/cordoglio/ condanna, non i cinguettii distratti, ma la presenza umana — nell’epoca della virtualità fa ancora una grande differenza.
Parigi o Tunisi: da qui la durata del volo non è poi tanto diversa, si tratta solo di viaggiare nella direzione opposta, quella che troppo di rado ci passa per la mente.
Presenza Non cinguettii di solidarietà, ma la presenza umana che fa ancora la differenza