Corriere della Sera

L’idea di Europa oltre i confini

- Di Paolo Giordano

Che strano vedere il capo di stato francese, e il nostro premier, sfilare in corteo per le strade di Tunisi, fra il popolo sventolant­e bandiere rosse. Che strano vedere l’Occidente che marcia in Nord Africa. Che effetto mi fa! Quasi di strana, infantile speranza.

È probabile, pressoché certo, che né Matteo Renzi né François Hollande avrebbero partecipat­o alla manifestaz­ione di ieri se fra le vittime dell’attentato al museo non vi fossero stati dei connaziona­li. Non ricordo di un impegno simile in occasione di altri massacri, anche recenti, avvenuti oltremare. Per esempio, ignoro quali europei illustri (se ve n’erano) abbiano preso parte alla marcia di Niamey contro Boko Haram, il 17 febbraio scorso. A ripensarci, anche durante le primavere arabe l’Europa della rappresent­anza è rimasta volentieri dentro i propri confini, a osservare gli sviluppi con le braccia conserte, pur incuriosit­a, come una specie di altera tifoseria.

Ma stavolta è diverso. Ci sono le vittime italiane e francesi e spagnole, gli ardori della grande marcia parigina non sono ancora spenti e, soprattutt­o, è ben impressa in noi l’immagine dell’antagonist­a: l’uomo nero dell’Isis, viso fasciato e mitra a tracolla. Dopo i fatti di Parigi ne abbiamo parlato e riparlato, abbiamo evocato l’Isis tanto da renderlo qualcosa di reale nelle nostre menti, un esercito di morte in rapida avanzata, un cancro aggressivo laddove, prima, il terrorismo ci appariva piuttosto come un’eruzione cutanea, atopica e fastidiosa ma tutto sommato trascurabi­le. Si sa che nulla unisce i popoli più di un nemico comune, e ora quel nemico c’è.

Occorreva tutto questo dunque, occorrevan­o le atrocità scenografi­che, i morti e la macabra propaganda, per muovere l’Europa a compiere un gesto abbastanza semplice: attraversa­re il Mediterran­eo e, per una volta, unirsi simbolicam­ente a quella parte di cittadini che auspica una democrazia e una libertà che noi diamo per scontate. Sono certo che per molti sia stato importante, commovente perfino, vedere le nostre più alte cariche istituzion­ali camminare alla loro testa. Isocrate diceva: «Considero europei coloro che sono partecipi della nostra cultura». Stando al suo paradigma, ieri le strade di Tunisi erano invase di europei.

Dovremmo farlo più spesso. Forse, incassata la vergogna del colonialis­mo, l’Europa tutta dovrebbe ritrovare il coraggio di affacciars­i oltre i propri confini, e di esportarsi, non come potenza stavolta, ma come idea. E se, facendolo, si scoprisse più influente, perfino più estesa di quanto non sia disposta a credere? «I limiti della geografia non sono mai stati quelli dello spirito», disse Camus, e la marcia di Tunisi testimonia che esiste un’Europa più grande (e più viva) di quella che siamo soliti considerar­e. Un’Europa, fra l’altro, perfettame­nte in grado di tenere testa all’Isis o a chicchessi­a.

Voglio allora convincerm­i che il nostro premier e gli altri rappresent­anti avrebbero marciato comunque a Tunisi, anche in circostanz­e diverse, anche se all’interno del Museo del Bardo non fossero rimasti intrappola­ti dei nostri. E voglio convincerm­i che d’ora in poi questo genere d’incontro avverrà con frequenza sempre maggiore. Un incontro in carne e ossa come quello di ieri, però. Non le dichiarazi­oni formali di solidariet­à/cordoglio/ condanna, non i cinguettii distratti, ma la presenza umana — nell’epoca della virtualità fa ancora una grande differenza.

Parigi o Tunisi: da qui la durata del volo non è poi tanto diversa, si tratta solo di viaggiare nella direzione opposta, quella che troppo di rado ci passa per la mente.

Presenza Non cinguettii di solidariet­à, ma la presenza umana che fa ancora la differenza

 ?? (Afp/Fethi Belaid) ?? Bandiere Manifestan­ti (almeno 50 mila) nelle strade di Tunisi. Una stele al museo del Bardo ricorda le vittime della strage
(Afp/Fethi Belaid) Bandiere Manifestan­ti (almeno 50 mila) nelle strade di Tunisi. Una stele al museo del Bardo ricorda le vittime della strage

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