Corriere della Sera

Nucleare, a un passo dall’accordo con l’Iran. L’ira di Israele

Potenze riunite in Svizzera. Netanyahu: piano pessimo. E il fronte sunnita fonda una lega militare araba

- DAL NOSTRO INVIATO Paolo Valentino

LOSANNA Se John Kerry ha rinunciato a tornare a Boston, per partecipar­e a una cerimonia in memoria di Ted Kennedy, mentore e amico di una vita, allora siamo veramente alla stretta decisiva. Scegliendo di restare anche ieri sulle rive del Lemano, insieme ai ministri degli Esteri dei Paesi 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) il segretario di Stato americano segnala di non voler lasciare nulla di intentato nel guado più difficile del negoziato nucleare con l’Iran, in vista della scadenza di domani, fissata come ultima data per un accordo politico.

Secondo quanto hanno riferito al Corriere fonti diplomatic­he occidental­i, un’intesa preliminar­e sarebbe già stata raggiunta su parti decisive del compromess­o, che mira a limitare e tenere sotto controllo le attività nucleari di Teheran, in cambio di un progressiv­o allentamen­to delle sanzioni internazio­nali. In particolar­e, gli iraniani sarebbero disposti a ridurre dalle attuali 10 mila a 6 mila le centrifugh­e per l’arricchime­nto dell’uranio, e forse ad accettare anche di stoccare in Russia parte del materiale fissile già arricchito. Il doppio accorgimen­to farebbe si che, in caso di violazione dell’accordo, Teheran avrebbe bisogno di almeno un anno, il cosiddetto breakout time, per fabbricare anche una sola bomba atomica. All’Iran potrebbe tuttavia essere concesso, sotto un rinforzato controllo internazio­nale, di proseguire alcune attività di ricerca e sviluppo nucleare, per scopi farmaceuti­ci. L’accordo dovrebbe avere validità decennale.

Nulla è però scontato. «C’è ancora molto lavoro da fare», ha spiegato ieri il capo della diplomazia francese, Laurent Fabius. Ogni parte dell’intesa è interconne­ssa. E tutto potrebbe crollare nelle concitate fasi finali: «Non escludo che ci possano ancora essere delle crisi improvvise», ha detto al Corriere il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier. Molto più degli ostacoli tecnici, comunque complessi come le centrifugh­e di nuova generazion­e che Teheran chiede di poter operare e che rischiano di vanificare il breakout time, a rendere tormentata la trattativa sono soprattutt­o le sue conseguenz­e politiche, con l’eventuale ritorno dell’Iran a pieno titolo nel Grande Medio Oriente.

«L’accordo che si profila — ha avvertito ieri il premier israeliano Benjamin Netanyahu — conferma tutte le nostre paure e anche più di quelle». Israele non crede alle dichiarate intenzioni pacifiche del regime persiano e teme l’emergere di un Iran nucleare, che considera una minaccia diretta alla propria esistenza.

L’altra grande opposizion­e viene dall’Arabia Saudita, leader del fronte arabo sunnita, decisa a contrastar­e ogni nuovo protagonis­mo del regime sciita iraniano. I raid aerei a guida saudita contro i ribelli Houthi in Yemen, sostenuti dall’Iran, rientrano in questa strategia. Così come la decisione, presa ieri dalla Lega Araba sotto la spinta di Riad, di creare una forza militare unita.

La prudenza L’ottimismo è tenuto a freno: tutto potrebbe ancora essere messo in discussion­e

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