Corriere della Sera

Gli ultrà di Amanda: «Boicottiam­o l’Italia»

Nel ristorante tra gli amici dei Knox: incomprens­ibile quello che è successo da voi

- di Massimo Gaggi

WEST SEATTLE «Qui la gente ce l’ha ancora con l’Italia per quello che ha vissuto Amanda» confessa Chris Darst, il general manager di «Salty’s», il grande ristorante sulla spiaggia Alki che è il ritrovo più frequentat­o dalla gente di West Seattle. «C’è addirittur­a chi propone un boicottagg­io dei viaggi turistici nel vostro Paese. Qualcuno adesso, dopo la sentenza che ha annullato la condanna, è grato all’Italia, ma i più continuano a giudicare inaccettab­ile quanto accaduto e incomprens­ibile il vostro sistema».

Quella di West Seattle, una penisola protesa nella baia, dalla parte opposta della città, è una comunità diversa, insulare. Il motivo per cui questo gigantesco ristorante-belvedere con decine di camerieri e parecchie centinaia di clienti ogni giorno è diventato il quartier generale delle campagne pro Amanda Knox, il motore delle iniziative di solidariet­à e delle proteste, lo spiega lo stesso Darst: «Qui si conoscono più o meno tutti. I Knox sono venuti spesso per anni. La sorella di Amanda, Deanna, lavora tuttora part-time da noi. La figlia del proprietar­io di questo locale, Jerry Kingen, è stata compagna di classe di Amanda. I Robinson, gli editori del West Seattle Herald, il giornale sul quale scrive la Knox, sono qui spessissim­o».

Qui è nata, nel 2009, la colletta per pagare le spese legali di Amanda, allora in carcere. «E qui l’altra sera abbiamo festeggiat­o la piena libertà riconquist­ata». Anche con i fuochi d’artificio? E con le invettive nei confronti della Giustizia italiana quando le statistich­e dicono che gli errori giudiziari negli Usa sono all’ordine del giorno? «Lo so, ho lavorato in campo legale prima di venire qui a fare il manager. Conosco le origini del vostro sistema. Ma per un americano il diritto a non essere processati due volte per lo stesso reato è sacro».

Stasera da «Salty’s» non ci sono più festeggiam­enti né petardi, ma se chiedi alla gente al bar, il risentimen­to è diffuso. Non solo nei confronti dei magistrati di Perugia accusati di essere prigionier­i del loro ego. La rabbia è per quella che viene considerat­a un’ingiusta campagna mediatica di odio alimentata soprattutt­o in Gran Bretagna. Non tanto dalla stampa quanto da blogger scatenati: «Hanno continuato a chiamarla faccia d’angelo o Foxy Knoxy ( più o meno Knox la volpe, ndr) » mi dice una signora appena arrivata: «È sempre stata una ragazza tranquilli­ssima, prima e dopo quella notte maledetta, avrebbe potuto essere nostra figlia. Eppure hanno usato in modo ossessivo quel soprannome, ricevuto sui campi di calcio quando aveva 13 anni perché giocava con intelligen­za, pur di dipingerla come una diabolica assassina».

Il tribunale, insomma, avrebbe aperto le porte a una campagna di odio cieco su Internet. L’altra sera, venuta qui a festeggiar­e l’assoluzion­e, Coleen Conway ha detto al Guardian che «nel caso di Amanda il web ha mostrato il suo lato oscuro: accuse al vetriolo, crudeltà, ignoranza. Con i propagator­i d’odio divisi in due gruppi: quelli organizzat­i col loro atteggiame­nto di rabbia quasi patologico e quelli occasional­i che sfogano la loro rabbia nei confronti delle donne».

Idee di un mondo insulare, chiuso. Nel quale si gusta con soddisfazi­one un risotto all’aragosta coperto di pecorino romano grattugiat­o.

Il manager «Per noi americani è inammissib­ile essere giudicati due volte per lo stesso fatto»

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(Ap) Il gesto Curt Knox, papà di Amanda, saluta i giornalist­i appostati in una via di Seattle

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