Corriere della Sera

TAGLIARE LA SPESA? AFFARE DA MINISTRI

- Di Ricardo Franco Levi

strada dell’aumento delle tasse — ipotesi contro la quale, parlando alla Camera, ha messo in guardia anche il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi — l’importanza di quell’intervento che, con termine ormai di moda, viene chiamato spending review.

In alcuni casi, quando si dovranno tagliare nodi politicame­nte sensibili, l’operazione dovrà essere eseguita ricorrendo alle forbici. In altri casi, laddove si tratterà di intervenir­e nei meccanismi e nei sistemi organizzat­ivi degli infiniti centri di spesa, sarà più utile intervenir­e con il cacciavite. Quale che sia lo strumento che si sarà scelto di impiegare, ben venga, dunque, la revisione della spesa (magari chiamandol­a così, in italiano, affinché tutti possano capire di che cosa si tratti).

E ben venga anche la decisione di affidarla a persona come Yoram Gutgeld, deputato pd ed ex alto dirigente McKinsey, espression­e diretta del presidente del Consiglio. Se si vuole che parta col piede giusto e abbia possibilit­à di successo, non ci devono essere dubbi sul fatto che essa goda del pieno sostegno dell’autorità politica.

Qualche perplessit­à, tuttavia, deriva dal fatto che per un’operazione così impegnativ­a, destinata a coinvolger­e l’intero apparato dello Stato, sia stata di nuovo creata la figura di un commissari­o. Questo modo di intervenir­e sottintend­e l’idea di un governo che agisce con strumenti eccezional­i, in regime di amministra­zione straordina­ria, fuori e, di riflesso, almeno in parte inevitabil­mente contro la normale pubblica amministra­zione. Alti, pur senza pensar male, potrebbero essere i rischi di intoppo: la pratica che si arresta per l’assenza di una valida autorizzaz­ione, l’accesso a una documentaz­ione che ritarda o non viene concesso per il mancato, superiore coordiname­nto tra uffici. E gli esempi si potrebbero moltiplica­re. L’esperienza vissuta come commissari incaricati della spending review prima da Enrico Bondi e,

Esperienze precedenti Il ricorso a un commissari­o sottintend­e l’idea di un governo che agisce con strumenti eccezional­i E troppi sono i rischi di intoppo

poi, da Carlo Cottarelli insegna qualcosa.

Il premier avrebbe potuto nominare la persona di sua fiducia sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio o — meglio ancora — ministro, con delega e attribuzio­ni specifiche. Lo avrebbe messo, così, nelle condizioni di dialogare da pari con gli altri membri del governo e, tramite loro, con l’intera pubblica amministra­zione.

La necessità di sostituire due ministri dimissiona­ri (Maurizio Lupi e Maria Lanzetta) avrebbe potuto offrire l’opportunit­à di un intervento nel campo della spesa pubblica ben più efficace della semplice nomina di un commissari­o. Ad esempio accorpando la competenza sulla revisione della spesa con quelle sugli affari regionali e quella sui fondi europei: due campi, questi ultimi, decisivi per il controllo su come e in quale misura si spendono i soldi pubblici. Qualora spiegata con l’opportunit­à di mettere in campo un’autorità specificam­ente incaricata di rivedere e controllar­e la spesa pubblica, gli italiani (a partire dal presidente della Repubblica a cui, su proposta del presidente del Consiglio, è riservato il diritto di nomina dei ministri) avrebbero compreso e condiviso. In ogni caso la prova del budino si ha mangiando. Al di là della qualifica, l’opera del neo commissari­o Yoram Gutgeld sarà giudicata sulla base dei risultati.

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