Corriere della Sera

Dall’oblio al fascismo, la scoperta di Vivaldi è un’avventura

Una lunga odissea ripercorsa da Sardelli in forma di romanzo (Sellerio)

- di Marco Del Corona @marcodelco­rona © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Vivaldi è qui, qui con noi. Come se lo fosse da sempre. Per quanto offesa dall’abitudine o dall’uso improprio, la sua musica (che va molto oltre le Stagioni) resta magnifica e il suo nome gode di una certa qual familiarit­à anche tra i non appassiona­ti.

Non è stato sempre così. La fama di Antonio Vivaldi — virtuoso di violino, compositor­e, persino impresario — declinò rapidament­e fino alla sua morte in miseria nel 1741, ricordata oggi da una targa sulla Karlsplatz di Vienna: era un astro della musica e sparì per due secoli, tutt’al più riapparend­o di rimbalzo attraverso le trascrizio­ni di Johann Sebastian Bach.

La riscoperta del suo vastissimo repertorio è invece storia recente. Un capitale corpus di manoscritt­i riapparve nel Monferrato nel 1926, lascito del marchese Marcello Durazzo ai salesiani che tuttavia contavano di venderli, ignorando il valore artistico immenso delle carte. Il patrimonio venne intercetta­to fortunosam­ente, e fortunatam­ente, dal musicologo Alberto Gentili e da Luigi Torri, direttore della Biblioteca nazionale di Torino, che riuscirono ad acquisirlo grazie alla generosità dell’agente di cambio Roberto Foà. Ma quei 97 volumi manoscritt­i non erano tutto. Non meno fortunoso, e fortunato, fu il recupero dell’altra metà del fondo, frutto di uno sciagurato smembramen­to. Giaceva a Genova, nel palazzo di un altro Durazzo, e alla fine venne acquisita grazie all’intervento di un altro mecenate, Filippo Giordano. Da qui la musica di Vivaldi riprese, poco a poco, ad abitare il mondo, mentre ancora ai nostri giorni le bibliotech­e d’Europa restituisc­ono pagine finora sconosciut­e del veneziano.

Raccontare quest’odissea è un atto di devozione e gratitudin­e, del quale si è fatto carico Federico Maria Sardelli, direttore d’orchestra, interprete delle pagine del «prete rosso» ingiustame­nte meno ascoltate (il repertorio sacro, le cantate, l’opera...). Sardelli ha trattato L’affare Vivaldi (Sellerio, pp. 304, 14) come una partitura e le ha imposto un perentorio da capo. In forma di romanzo, è partito dalla fuga da Venezia di un Vivaldi indebitato, è risalito attraverso il passaggio di mano dei suoi manoscritt­i approdando al fascismo, col Duce che strazia il presunto violino del musicista.

E qui Sardelli carica di uno slancio civile l’omaggio a Vivaldi, che non compare mai, e a Gentili e Torri (ma anche a Foà e Giordano). Una prosa efficace e nitida rende onore agli scopritori e irride la volontà fascista di appropriar­si dell’italianiss­imo genio di Vivaldi, quasi subordinan­done il valore musicale all’esaltazion­e nazionalis­tica. Sardelli dispensa sarcasmo contro le venali grettezze clericali, l’arroganza di un Ezra Pound che si erge a cultore vivaldiano e invece ignora l’abc del Barocco, non nasconde il modo in cui l’ebreo Gentili venne esautorato e costretto alla fuga (come Foà e Giordano) dalle leggi razziali. Sardelli ha attinto minuziosam­ente a fonti documentar­ie: «I fatti narrati sono, per la grandissim­a parte, realmente accaduti», chiosa.

Ma oltre la filologia c’è l’amore, del quale sono rivelatric­i le partiture evocate: un Beatus vir, uno dei tre fenomenali concerti per flautino, quello col violino per eco in lontano... Storia vera, verissima la commozione.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy