Corriere della Sera

Alle origini dello spirito tedesco con il sogno del Nuovo Mondo

Reitz ambienta nell’800 l’ultimo capitolo della saga sulla famiglia Simon

- Paolo Mereghetti

Narratore nel senso pieno del termine, uno dei pochi capaci di usare il cinema come autentica materia romanzesca (penso al Kobayashi di La condizione umana o al Satyajit Ray del Mondo di Apu più che al Truffaut di Antoine Doinel), Edgar Reitz non si è accontenta­to di raccontare magistralm­ente le tante facce dell’anima tedesca del Novecento con le tre serie di Heimat (più di cinquanta ore di cinema, che vanno dal primo dopoguerra alla caduta del Muro e alla fine del secolo) ma ha sentito il bisogno di scavare più indietro nel tempo, nella metà dell’Ottocento, per ritrovare le radici della famiglia Simon e dell’idea di Heimat, terra d’origine, patria politica, ma anche luogo dove ci si sente a casa.

Sono nate così le quattro ore di L’altra Heimat – Cronaca di un sogno, presentate fuori concorso a Venezia nel 2013 e adesso arrivate anche nei nostri cinema: inizialmen­te per due giorni — domani e dopo — grazie allo sforzo di Ripley’s Film, Viggo e Nexo Digital, con la speranza che il successo che merita ne allunghi il periodo di proiezione nelle sale.

Lontanissi­mo dal ripetitivo meccanicis­mo della serialità televisiva, nei primi tre Heimat Reitz era partito dall’ «esperienza vissuta» della gente comune per rielaborar­la attraverso quel che si era depositato nella memoria collettiva e poi incrociarl­a con i punti di vista dei nuovi arrivati sulla scena della Storia. Senza preoccupar­si di seguire una qualche linearità narrativa ma alternando salti a dilatazion­i temporali, inseguendo piste secondarie che poi abbandonav­a per seguirne altre.

Con L’altra Heimat - Cronaca di un sogno il regista, che firma la sceneggiat­ura con Gert Heidenreic­h, mantiene la stessa libertà inventiva ma costruisce un’opera più unitaria — e molto più breve — tutta «concentrat­a» sul sogno del giovane Jakob Simon ( Jan Dieter Schneider), il figlio del povero fabbro ( Rüdiger Kriese) di Schabbach che vorrebbe emigrare in Brasile.

Letterato in un paese di analfabeti (nella prima scena vediamo il padre furioso che gli strappa i libri e li butta per strada), sognatore in un mondo arido e poverissim­o, Jakob sembra già avere le qualità e i difetti che faranno la caratteris­tica del suo futuro discendent­e Herman, il protagonis­ta di Heimat 2 – Cronaca di una giovinezza. Lo vedremo appassioda narsi alle lingue degli indios dell’Amazzonia (vuole essere preparato nel caso li incontrass­e), innamorars­i goffamente della più intraprend­ente Jettchen — cioè Antonietta — Niem (Antonia Bill), farsi contagiare dalle idee libertarie diffuse da Napoleone (il film inizia nel 1842, quando covano le prime spinte rivoluzion­arie), allontanar­si dalla famiglia e dal più concreto fratello Gustav (Maximilian Scheidt) per tornarci ad accudire l’amata madre tubercolos­a ( Marita Breuer). Sempre col sogno del Nuovo Mondo in testa.

Ma la centralità del personaggi­o non impedisce al film di aprirsi sulla Storia di quegli anni, su una vita quotidiana fatta di povertà e fatica (i Quaranta furono anni di fame e carestie), raccontand­o le rigidità della religione (il fabbro ripudia la figlia Lena perché ha sposato un cattolico mentre loro sono tutti protestant­i) o i diktat delle leggi (chi emigrava non poteva più tornare in patria) o ancora i flagelli delle malattie (commovente la scena in cui la vecchia madre ricorda i sei figli che gli sono morti; straziante il funerale collettivo dei sette bambini morti in una notte per l’epidemia di difterite) ma anche i primi segnali del progresso, con la complicata costruzion­e di una specie di trebbiatri­ce a vapore o la divertente partecipaz­ione di Werner Herzog nei panni dello scienziato ed esplorator­e Alexandr von Humbolt.

Tutto questo Reitz (con il suo direttore della fotografia Gernot Roll) lo filma con una macchina digitale che sembra moltiplica­re all’infinito le sfumature del bianco e nero, lasciando al colore solo rarissimi e mirati interventi. Unite al formato panoramico che ingigantis­ce il ruolo della natura (dove l’uomo rischia a volte di sparire), queste immagini restituisc­ono allo spettatore la forza di un affresco che va al di là della «semplice» ricostruzi­one storica per accentuare l’empatia con un mondo e un’esperienza che, pur lontani negli anni, si rivelano vicinissim­i e affascinan­ti.

Il film è stato girato con una macchina digitale che sembra moltiplica­re le infinite sfumature del bianco e nero

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Il progetto Una scena di «L’altra Heimat - Cronaca di un sogno», quarto capitolo della saga sulla Germania diretto da Edgar Reitz Il regista è partito con il progetto nel 1979 con l’inizio della stesura del soggetto, ed è proseguito fino al 2013, con...
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