Corriere della Sera

UNA LEGIONE EUROPEA PER COMBATTERE L’ISIS

- Angelo Tirelli antirelli@tiscali.it

La sua risposta su un futuro esercito europeo mi fa pensare che se ne discuterà ancora per anni prima di una decisione. Un proverbio dice: a mali estremi, estremi rimedi. Non c’è dubbio che l’Isis sia un male estremo; sugli estremi rimedi le democrazie occidental­i non riescono a trovare una strategia che possa essere efficace. Agire velocement­e è una arma essenziale: perché non usare, in attesa di un esercito europeo, un esercito che esiste già, preparato e organizzat­o, la Legione straniera? Perché non assegnare loro il compito di liberare le coste del Nord Africa, in particolar­e quelle libiche? È un «estremo rimedio» ma a mali estremi...

Le Legioni straniere sono un sottoprodo­tto della storia coloniale delle potenze europee. Le prime formazioni britannich­e composte da gurkha nepalesi risalgono al 1815, un periodo nel corso del quale la Gran Bretagna si preparava a completare il suo controllo dell’immenso territorio indiano. La Legione straniera francese nacque nel 1831, pochi mesi dopo l’occupazion­e dell’Algeria. La Legione straniera spagnola (nota anche come il «Tercio de extranjero­s») fu creata nel 1921 mentre la Spagna doveva fare fronte a una grande rivolta marocchina.

Queste forze non sono destinate in linea di principio a operare sul territorio nazionale e a difendere la patria contro uno dei suoi tradiziona­li nemici. Sono lo strumento di cui un impero coloniale si avvale per ampliare i suoi possedimen­ti o tenere a bada i suoi sudditi. Per incoraggia­re il reclutamen­to, il «datore di lavoro» è disposto a chiudere un occhio sul passato delle reclute. I volontari che entrano nella Legione non sono cittadini, ma lo Stato per cui combattono è pronto a premiarli con la concession­e della cittadinan­za, alla fine della ferma, se saranno stati coraggiosi e disciplina­ti. Per molti aspetti le ragioni dell’impiego di queste milizie sono semplici. Se vi sono circostanz­e in cui è meglio evitare l’impiego di forze nazionali e se il servizio militare è malvisto, una forza composta da stranieri può essere la migliore delle soluzioni possibili.

Più recentemen­te, caro Tirelli, abbiamo assistito a nuove «legioni straniere». Sono le società private di sicurezza utilizzate in alcune vicende africane dall’Angola alla Sierra Leone. La più importante e temibile («Executive Outcomes», composta soprattutt­o da Sud Africani) è apparsa nuovamente in Nigeria dove sta combattend­o Boko Haram con buoni risultati. In Iraq questi «contractor­s», come sono abitualmen­te chiamati quelli impiegati dagli Stati Uniti, vengono usati soprattutt­o per proteggere edifici pubblici e scortare trasporti militari.

Qualche anno fa, quando era ministro della Difesa nel governo Berlusconi, Antonio Martino disse che la prospettiv­a di una Legione straniera italiana non lo avrebbe scandalizz­ato. Probabilme­nte sarebbe stata composta soprattutt­o da albanesi, un popolo cha ha accumulato una considerev­ole esperienza militare al servizio dell’Impero Ottomano. Potremmo dire altrettant­o di una Legione straniera europea? L’affidabili­tà di queste formazioni militari dipende, oltre che dalla qualità dell’addestrame­nto, dallo spirito di corpo, vale a dire da un valore che è tanto più alto quanto più il legionario ha la sensazione di combattere per un Paese che ha una grande tradizione militare e civile. Paradossal­mente, quindi, anche una Legione straniera ha bisogno di una patria. Non credo che l’Europa, per il momento, possa soddisfare questa esigenza. Ma qualche prima iniziativa potrebbe essere presa nel Mediterran­eo, dove esistono ormai le condizioni per una guardia costiera europea a presidio della nostra comune frontiera meridional­e.

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