I destini diversi e le somiglianze
Nello sguardo radioso di Vettel c’è un patto con qualche diavolo tedesco, uno stato di grazia che viene dall’anima, dal talento, da un destino armonico sempre. L’immagine è colma di gioia e di storie, contiene l’ombra nella quale Alonso mangiava il proprio fegato, in compagnia di un altro destino, il suo, storto e annodato al confronto. Immagini reali ed evocate dalla festa rossa. Il godimento di Marchionne che magari fa un brindisi, dopo molti caffè, dopo aver macinato una sigaretta a giro davanti alla tv. Il sospiro di Mattia Binotto, a Maranello, convinto di mettere una briglia alla cavalleria Mercedes, a furia di togliere briglie al Cavallino. I volti di chi non veste più quella divisa lì, resa brillante da una macchina felice, ciascuno alle prese con qualche rimpianto, con una sorte più dispettosa. Il ghigno gessato di Niki Lauda al cospetto di una armata dispersa. Le rughe fonde di Newey, a lungo inseguito dalla Ferrari e doppiato dalla Ferrari in pista. Ricciardo senza il suo sorriso, lui che aveva spento il sorriso di Vettel. Hamilton, seduto sul podio come un ragazzino sfinito e disorientato. I gesti — due — di Seb che ci trasportano in un attimo nella stanza silente dove sta Schumi ora. Un salto accennato, il dito che accompagna le note di Mameli. Nulla che riguardi una eventuale e forzata somiglianza. Piuttosto, un doppio riflesso incondizionato. Abbastanza da ripristinare un bellissimo sapore e la speranza che Michael in qualche modo misterioso, abbia sorriso, ovunque si trovi.