Corriere della Sera

Gand-Wevelgem per uomini duri Paolini la vince con la testa e con il cuore

- Marco Bonarrigo

Dei sette fuggitivi è di gran lunga il più basso e meno muscolato, l’unico non fiammingo (assieme al roccioso inglese Thomas), quello col palmarès più ordinario, il solo gregario. Insomma, quello destinato a perdere. Ma a 6 chilometri dal traguardo della GandWevelg­em, Luca Paolini, comasco, 38 anni, vuole regalarsi un giorno da campione. Con uno scatto perfetto pianta sul loro terreno il bicampione olimpico Thomas, il vincitore della Roubaix Terpstra e altri quattro corazzieri belgi. Quando taglia tutto solo il traguardo della prima grande classica fiamminga della stagione, indica con un dito il cuore e con un altro la testa: la sua vittoria e la sua carriera sono in quella fotografia. La GandWevelg­em non la vincevamo dal 2002 (Cipollini) ma ieri valeva doppio o triplo: diluvio dalla partenza all’arrivo, folate di vento che hanno letteralme­nte sollevato una ventina di corridori da terra gettandoli chi in un canale, chi in un prato, chi contro il guardrail. La direzione è stata più volte in procinto di sospendere la corsa per impraticab­ilità di campo ma poi ha deciso di non deludere il famelico pubblico belga: 39 al traguardo, 160 ritirati. Una corsa da velocisti trasformat­a in maratona estrema. Luca Paolini è passato profession­ista

Traguardo Paolini, 38 anni (Reuters) nel 2002 come gregario di Paolo Bettini, che ha portato a un oro olimpico e due mondiali. Regista in stand-by della nazionale azzurra, corre con i russi della Katusha. Domenica scorsa ha pilotato magistralm­ente la volata del suo capitano Kristoff alla Sanremo. Il norvegese ha perso, ma Paolini è pronto a ripetersi: «Domenica prossima — ha detto — tornerò a essere il suo pilota per vincere Fiandre». Gregari si nasce e si continua a essere, anche dopo aver vinto. Ieri, intanto, il miliardari­o russo Oleg Tinkov (proprietar­io del team di Contador, Sagan e Basso) ha licenziato il manager danese Bjarne Riis, fondatore della squadra e, a suo modo, simbolo del doping massiccio degli anni Novanta. Il ciclismo volta pagina?

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