Giardiello è stato visto da testimoni aggirarsi nel palazzo giorni prima degli omicidi I tempi del blitz: per raggiungere l’ufficio del giudice e poi uscire servono 3 minuti L’ingresso senza il tesserino: tra quelli sequestrati non c’è quello falso da avv
detective non escludono che possa aver calcolato i tempi e stabilito le vie di fuga dopo aver portato a termine il suo «lavoro». al momento di aprire formalmente la sua deposizione, Giardiello si è chiuso a riccio avvalendosi della facoltà di non rispondere anche di fronte a Nobili e Renna. Quando alle 9,30 di giovedì il processo è cominciato nell’aula della seconda sezione penale del Tribunale, che si trova al terzo piano, Giardiello si è seduto alla panca dell’ultima fila. Aveva in mente esattamente ciò che doveva fare. Era riuscito a superare i controlli al pianterreno facendosi passare per un avvocato, probabilmente mostrando qualcosa che a una verifica frettolosa di due addetti alla sicurezza, che forse lo consideravano una persona conosciuta, deve essere sembrato un tesserino di riconoscimento simile a quello degli avvocati e che forse non era proprio nulla ma che è stato sufficiente a bucare la sicurezza della cittadella giudiziaria. A casa sua sono stati sequestrati
Alle 9.19 di giovedì scorso Claudio Giardiello entra al Palazzo di Giustizia di Milano dall’ingresso di via Manara (che non è dotato di metal detector)
Alle 10.50 Giardiello si mette a sparare all’interno dell’aula della seconda sezione penale: ferisce il nipote poi uccide un coimputato e il suo ex avvocato alcuni tesserini che aveva nel portafoglio, nessuna falsa tessera da avvocato.
La familiarità Dopo anni di cause e processi sapeva muoversi abilmente nell’edificio
Sono le 10 e 50 circa quando ha tirato fuori la pistola, che forse aveva nascosto in un sacchetto di carta, e ha fatto fuoco. Ad essere colpito per primo è l’odiato nipote Limongelli, ferito, poi è la volta del suo ex avvocato, Lorenzo Claris Appiani, ucciso mentre testimonia. Approfittando del panico che ha conquistato l’aula e l’intero piano, Giardiello è uscito dalla porta laterale e si è imbattuto nel commercialista Stefano Verna, che aveva avuto un ruolo nelle sue vicende. Ha sparato anche a lui. Quindi ha preso la rampa di scale subito a destra e, sceso di un piano, ha imboccato il lungo corridoio dei Tribunale delle imprese. A passo tranquillo, senza fretta ci vogliono esattamente un minuto e trenta secondi per raggiungere la stanza numero 250, l’ufficio del giudice Ferdinando Ciampi, che era passato a questa sezione. Solo chi sa esattamente dove si trova è in grado di arrivarci. Giardiello apre la porta, trova il giudice e un’impiegata che, di spalle, armeggiano a una stampante. Due colpi raggiungono Ciampi uccidendolo all’istante, con la precisione guadagnata negli allenamenti al poligono di tiro. La donna dirà di non aver fatto in tempo non solo a capire cosa stesse succedendo ma anche a vedere chi era entrato. Un’azione fulminea.
Non è ancora certo, ma è possibile che il killer a questo punto non abbia fatto la strada a ritroso ma abbia imboccato una scala interna a pochi metri sulla destra della stanza 250. La scala porta al piano terra, ingresso di via Manara. Per arrivarci a passo sempre calmo ci vogliono un minuto e 26 se-
«Ho fatto tanti esposti e denunce ma in tribunale non mi hanno mai dato ascolto»
condi. Giardiello potrebbe essere uscito in strada confondendosi tra la folla che nel caos stava già uscendo dal palazzo. Meno di tre minuti in tutto, cronometrati prima di raggiungere il suo scooter e partire alla volta di Vimercate.
«Mi volevo uccidere»
Tanto rapido è stato Giardiello, altrettanto veloci sono stati i carabinieri che poco prima di mezzogiorno lo hanno trovato a due passi dal centro commerciale. Hanno seguito le tracce lasciate dalla targa dello scooter nelle immagini delle telecamere che controllano il traffico nel comune di Brugherio. Le manette circondano i polsi dell’assassino. I miliari ci hanno messo un attimo ad aprile il vano sotto la sella e a trovare la pistola Beretta modello 98 calibro 9x21 della strage. Ha ancora il colpo in canna. «Mi avete evitato di fare un altro omicidio», ha detto Giardiello. «Chi volevi andare ad uccidere?». Risposta: «Massimo D’Anzuoni, mi doveva dei soldi. L’ultimo colpo era per
Le sue parole
lui, poi l’avrei fatta finita » . D’Anzuoni è uno dei coimputati nel processo del massacro. I due sono stati soci in imprese immobiliari con Giorgio Erba e Davide Limongelli. Ai carabinieri, Giardiello ha raccontato dei suoi guai personali e giudiziari, di ciò che l’aveva spinto ad uccidere. Quando sono arrivati i magistrati, ha smesso di parlare senza voler dire neppure da quale ingresso fosse entrato nel Palazzo di Giustizia. Li ha guardati con aria un po’ sorniona, con un’alzata di spalle: «Sono entrato...». È proprio l’ultima vittima predestinata a dare qualche altra informazione. D’Anzuoni, infatti, ha raccontato una storia del tutto diversa parlando di un Giardiello divenuto ormai un socio «inaffidabile» che spendeva molti soldi al casinò e alle slot machine. Per questo con gli altri soci gli aveva chiesto di cedere le sue quote e di uscire dalla società, ma erano nati dei forti contrasti proprio sul valore di quelle quote, scontri sfociati poi in una serie di procedimenti giudiziari. Fatti che risalgono per la maggior parte agli anni 2007-2008 e che da allora alimentano le ossessioni di Giardiello. Oggi potrebbe provare a tirarle fuori nel primo interrogatorio dopo l’arresto.