Corriere della Sera

Ma non chiamatelo «tesoretto»

- Di Enrico Marro

Ogni tanto nei conti pubblici spunta un «tesoretto»: risorse inattese che, il governo di turno, promette di destinare a chi ha più bisogno. Se ne parla per mesi, le forze politiche ne dibattono a fini elettorali, poi la montagna partorisce il topolino.

C’era il governo Prodi, nel 2007 quando si cominciò a parlare di un tesoretto di ben 10 miliardi derivante da maggiori entrate rispetto al previsto, poi l’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, realistica­mente ridimensio­nò il tutto a 2 miliardi e mezzo che furono utilizzati per dare un bonus alle pensioni più basse. Anche il successivo governo Berlusconi si mise a caccia di un altro tesoretto, ma il ministro Giulio Tremonti avvertì che non era aria e di lì a poco la crisi mondiale travolse ogni speranza. Ora, con la ripresina, ecco che rispunta il «tesoretto», prefigurat­o per primo dallo stesso premier Matteo Renzi nell’intervista all’Espresso. Da dove spunta? Con la crescita del Pil per il 2015 ora stimata dello 0,7%, contro lo 0,6% dello scorso settembre, il deficit in rapporto allo stesso Pil che naturalmen­te sarebbe sceso al 2,5% viene alzato al 2,6%, liberando così 1,6 miliardi per sostenere la crescita, spiega l’esecutivo del Def, il Documento di economia e finanza. Obiettivo condivisib­ile, purché si abbia ben presente che le risorse in più si possono trovare in vari modi: o indebitand­osi, appunto, o aumentando le entrate (da evitare) o tagliando le spese. Ma la parola tesoretto si addice di più a un’azione virtuosa, a una conquista della buona amministra­zione, che alla scorciatoi­a di un margine in più sull’indebitame­nto.

Certo, anche con questa decisione il deficit resta ben sotto il 3% del Pil mentre per esempio la Francia sfonderà di nuovo il tetto fissato dalle regole europee. Ed è anche vero che è opportuno per il governo mettere da parte una riserva in vista di poste ballerine come la decontribu­zione triennale delle assunzioni a tempo indetermin­ato. Purché anche qui si sappia che l’eventuale necessità di rifinanzia­re questa misura, che va nella giusta direzione, non sarà un risultato a sorpresa — una sorta di tesoretto dell’occupazion­e — ma il frutto di previsioni sbagliate del governo sull’effetto «bolla» che avrebbe provocato la decisione di dare lo sgravio solo per le assunzioni fatte nel 2015.

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