Ma non chiamatelo «tesoretto»
Ogni tanto nei conti pubblici spunta un «tesoretto»: risorse inattese che, il governo di turno, promette di destinare a chi ha più bisogno. Se ne parla per mesi, le forze politiche ne dibattono a fini elettorali, poi la montagna partorisce il topolino.
C’era il governo Prodi, nel 2007 quando si cominciò a parlare di un tesoretto di ben 10 miliardi derivante da maggiori entrate rispetto al previsto, poi l’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, realisticamente ridimensionò il tutto a 2 miliardi e mezzo che furono utilizzati per dare un bonus alle pensioni più basse. Anche il successivo governo Berlusconi si mise a caccia di un altro tesoretto, ma il ministro Giulio Tremonti avvertì che non era aria e di lì a poco la crisi mondiale travolse ogni speranza. Ora, con la ripresina, ecco che rispunta il «tesoretto», prefigurato per primo dallo stesso premier Matteo Renzi nell’intervista all’Espresso. Da dove spunta? Con la crescita del Pil per il 2015 ora stimata dello 0,7%, contro lo 0,6% dello scorso settembre, il deficit in rapporto allo stesso Pil che naturalmente sarebbe sceso al 2,5% viene alzato al 2,6%, liberando così 1,6 miliardi per sostenere la crescita, spiega l’esecutivo del Def, il Documento di economia e finanza. Obiettivo condivisibile, purché si abbia ben presente che le risorse in più si possono trovare in vari modi: o indebitandosi, appunto, o aumentando le entrate (da evitare) o tagliando le spese. Ma la parola tesoretto si addice di più a un’azione virtuosa, a una conquista della buona amministrazione, che alla scorciatoia di un margine in più sull’indebitamento.
Certo, anche con questa decisione il deficit resta ben sotto il 3% del Pil mentre per esempio la Francia sfonderà di nuovo il tetto fissato dalle regole europee. Ed è anche vero che è opportuno per il governo mettere da parte una riserva in vista di poste ballerine come la decontribuzione triennale delle assunzioni a tempo indeterminato. Purché anche qui si sappia che l’eventuale necessità di rifinanziare questa misura, che va nella giusta direzione, non sarà un risultato a sorpresa — una sorta di tesoretto dell’occupazione — ma il frutto di previsioni sbagliate del governo sull’effetto «bolla» che avrebbe provocato la decisione di dare lo sgravio solo per le assunzioni fatte nel 2015.