Corriere della Sera

L’INFLAZIONE PERICOLOSA DEL GRIDO «VERGOGNA!»

- Di Antonio Polito

Diceva Nanni Moretti in Palombella rossa che «le parole sono importanti, perché chi parla male pensa male e vive male». Aveva ragione, e allora, 25 anni fa, forse non capimmo neanche quanta ragione avesse. Quella fulminante battuta mi è tornata in mente leggendo il tweet di Matteo Orfini con il quale non ha ottenuto le dimissioni di De Gennaro dalla presidenza di Finmeccani­ca ma ha ottenuto di costringer­e il premier a confermarl­o e ad esprimergl­i stima imperitura.

«È una vergogna che De Gennaro resti in Finmeccani­ca» diceva quel cinguettio emesso sull’onda della emozione per la sentenza della Corte europea sui fatti del G8 di Genova. E mi sono chiesto: perché Orfini ha scritto «vergogna»? Avrebbe potuto dire «è inopportun­o che resti», oppure «è sconvenien­te», oppure ancora «è scorretto», o «è ingiusto». Avrebbe anche potuto più sempliceme­nte dire «non sono d’accordo che De Gennaro resti», i politici hanno il dovere oltre che il diritto di esprimere le proprie opinioni. Orfini è uomo colto, sa come esprimersi con proprietà. Eppure non ha resistito a usare la parola «vergogna», perché lo spirito del tempo richiede di ricorrere alla categoria dei giudizi morali per combattere gli avversari nell’arena del dibattito pubblico. Il giustizial­ismo prima e il vaffanculi­smo poi hanno così profondame­nte modificato lo spirito della nazione che non si riesce più a dire a uno «hai torto» senza aggiungere «dovresti vergognart­i», come avviene costanteme­nte, per esempio, in Rete.

Le conseguenz­e sono gravi. Tra persone che si intimano a vicenda di vergognars­i non è più possibile condivider­e la sfera pubblica democratic­a, che ha bisogno del confronto tra opinioni legittime e non sopporta anatemi. In più, caro Orfini, prima o poi spunta sempre qualcuno che a chi urla «vergogna» ricorda di che cosa lui stesso dovrebbe vergognars­i. Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it inesausta miniera di paradossi della giustizia italiana offre talvolta pepite troppo grosse per passare inosservat­e. Per il clamore del caso, com’è accaduto nel giallo di Perugia. O per il rilievo dei personaggi, come capita adesso con Vasco Errani.

Presidente dell’Emilia-Romagna dal 1999, stimato trasversal­mente dai compagni di partito del Pd e dagli avversari, Errani si dimette dopo quindici anni di governo regionale, a luglio del 2014, quando la seconda sezione della Corte d’appello di Bologna gli infligge un anno di reclusione (con pena sospesa) per falso. La vicenda è complessa. Il fratello maggiore, Giovanni, è presidente della cooperativ­a vinicola «Terremerse» che ottiene dalla Regione un finanziame­nto di un milione per la costruzion­e di una cantina. Secondo la Procura, dietro quel finanziame­nto ci sarebbe una truffa e Giovanni

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