Corriere della Sera

FINANZIARI­A (E COMPITI A CASA) SOTTO LA LENTE DELL’EUROPA

Giudizio Finora il responso assolutori­o è stato determinat­o da un lato dalle croniche difficoltà italiane e dall’altro dall’apertura di credito sulla nostra capacità di migliorare. Nei prossimi mesi in ambito Ue si valuterann­o le riforme e i loro prevedib

- Di Enzo Moavero Milanesi

In Europa, tutti i Paesi membri dell’Ue, nel mese di aprile, presentano i rispettivi piani con riguardo a conti pubblici e riforme. È un passaggio nodale del sistema di coordiname­nto imposto dall’interdipen­denza che esiste fra gli Stati dell’Unione Europea, dopo sei decenni di progressiv­a integrazio­ne. Dobbiamo essere coscienti che il Documento di economia e finanza (Def) e il Programma nazionale di riforma (Pnr) sono valutati con attenzione in ambito Ue. Segnano l’inizio di un processo che prevede, a giugno, le abituali raccomanda­zioni a ogni Paese e, fra ottobre e novembre, il giudizio sulle leggi annuali di bilancio, dunque sulla nostra legge di Stabilità.

La linea europea è nota: richiede agli Stati una gestione finanziari­a sana, quale reciproca garanzia e base per una crescita economica sostenibil­e. Tacciata di austerità, raccoglie svariate critiche, ma nessuno è riuscito a proporre alternativ­e tali da convincere tutti gli altri partner. Dunque, è sempre con questa linea che dobbiamo confrontar­ci. Naturalmen­te, le regole Ue, pur rafforzate durante la crisi, consentono — come ogni normativa — spazi interpreta­tivi che rendono ogni esercizio specifico. Spazi di cui il nostro Paese ha spesso fruito, facendone di rado tesoro. Infatti, la vera sfida non sta nel superare, più o meno indenni, i frequenti esami europei; bensì, nell’utilizzare al meglio tempo e margini di manovra — finché sussistono — per risolvere i problemi reali che ci affliggono, di cui siamo coscienti e che ci portiamo dietro da troppi anni.

Le valutazion­i pubblicate dalla Commission­e europea, nel febbraio scorso, sono state accolte, in Italia, con sollievo e non hanno comportato il temuto annuncio di una procedura d’infrazione dei parametri dell’eurozona. Vale la pena di ricordarne le ragioni cardine. In primo luogo, la fase attuale dell’economia mondiale ed europea è migliore rispetto agli anni più drammatici della crisi: ciò permette alla nuova commission­e Juncker analisi tecniche e scelte politiche più flessibili. In secondo luogo, le difficoltà della nostra economia a riprenders­i e i perduranti sintomi di deflazione, in divergenza da molti altri Paesi Ue, hanno permesso di far valere la deroga delle «circostanz­e eccezional­i», prevista nelle regole Ue. In terzo luogo, è stata applicata un’ulteriore deroga: le riforme struttural­i sono state considerat­e «altri fattori rilevanti», ai fini della valutazion­e (non dimentichi­amo che questa salvaguard­ia fu inserita, nei regolament­i Ue dell’ottobre 2011, proprio su previdente proposta italiana). In quarto luogo, l’Italia non era l’unico Paese a rischio di inasprimen­ti procedural­i: lo erano il Belgio e la Francia e questo ci ha tutelato; senza contare che bisognava concentrar­si sulla ben più grave situazione della Grecia.

In sostanza, dunque, l’assolutori­o responso europeo è stato determinat­o, da una lato, dalla persistent­e problemati­ci- tà della situazione italiana (fattore negativo) e dall’altro, da un’apertura di credito sulla nostra capacità di cambiarla (fattore positivo). Ora si avvicina la prova dei fatti, dei risultati; la richiedono le normative europee, così come la dovrebbero esigere i cittadini da chi li rappresent­a nelle istituzion­i della Repubblica. Programmar­e riforme struttural­i è inevitabil­e. Poi, è necessario delinearle in adeguati provvedime­nti legislativ­i ed esecutivi, adottarle e renderle pienamente operative in tempi rapidi. È anche opportuno curare l’ordine delle priorità e concentrar­e il dibattito politico sulle riforme al servizio del rilancio economico e dell’occupazion­e. In passato siamo stati carenti in molti di questi passaggi. E oggi? Il tempo a disposizio­ne è circoscrit­to; le alee sono plurime e rilevanti.

Bisogna recuperare competitiv­ità rispetto ai sistemi Paese nostri concorrent­i, sia a livello globale sia europeo, perché molti indici mostrano divari crescenti a noi sfavorevol­i. Siamo realisti: l’attuale congiuntur­a propizia finirà; per esempio, gli interventi innovativi della Banca centrale europea, sono condiziona­ti da paletti che travalican­o le esigenze italiane. Nei prossimi mesi in ambito Ue, si valuterann­o (a cominciare da Def e Pnr) le riforme nella sostanza del loro contenuto e degli effetti concreti prevedibil­i, ben al di là del titolo e degli obiettivi auspicati. Non possiamo permettere che s’incrini la fiducia. L’Italia è già fra quei Paesi sottoposti al specific monitoring, nel quadro della procedura di sorveglian­za per gli squilibri macroecono­mici eccessivi, che scrutina anche i processi riformator­i. Inoltre, se non ci fossero le deroghe poc’anzi ricordate, dal 2016, dovremmo ridurre la parte del nostro debito pubblico che eccede il 60% del Prodotto interno lordo ( Pil) di 1/20 l’anno. Una simile riduzione che, prima o poi dovrà iniziare, può realizzars­i se si innesta una crescita consistent­e del Pil, si riduce la spesa pubblica e si fanno fruttare meglio i beni dello Stato e degli enti locali (vendendoli e per esempio, rivedendo termini e canoni delle concession­i ai privati). L’alternativ­a sono nuove tasse (mentre dovremmo ridurre le attuali) o la fuga dall’Ue, inseguendo chimere. Le chiavi della soluzione sono nelle nostre mani: del governo e del Parlamento, degli imprendito­ri e di noi cittadini, purché consapevol­i di essere contribuen­ti, consumator­i e soprattutt­o, elettori, fonte del mandato e del potere dei governanti.

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