E Van Gogh firmò un passeggino
Cappottina con riproduzioni d’artista, dettagli super tecnici. È il nuovo status symbol Barenbrug, «padre» della fuoriserie per baby: l’ho creato pensando agli uomini
uando Theo, il fratello di Vincent van Gogh, battezzò il suo primogenito «Vincent» il pittore scrisse alla madre, con umiltà, che avrebbe preferito che il bimbo ricevesse il nome del nonno, «al quale penso così spesso». Così per celebrare l’evento della nascita di suo nipote, Van Gogh scrisse di aver «cominciato subito a dipingere un quadro per lui, da appendere nella sua camera da letto. Grandi rami di mandorlo in fiore, bianco sul cielo azzurro». Quel quadro è uno dei più famosi dell’artista ed è quello che, al museo Van Gogh di Amsterdam, raccoglie — ipnotizza — folle grandi come quelle che si accalcano davanti ai girasoli. «È il quadro dei nuovi inizi, delle nuove possibilità. E’ il quadro della vita che nasce», spiegava con un sorriso tenero, visibilmente emozionato, il bisnipote di Theo, Vincent Willem Van Gogh, davanti al quadro che celebra la nascita di suo nonno.
E che adesso è diventato la decorazione della cappottina di un passeggino molto speciale, in edizione limitata: la «special edition» Bugaboo Bee³ + Van Gogh in collaborazione con il museo di Amsterdam. Che ha ospitato il lancio del passeggino-fuoriserie dell’azienda che più di tutte le altre insiste sul design, sulle firme importanti (hanno già collaborato
V. W. van Gogh e Max Barenbrug con la fondazione Warhol e con gli stilisti Viktor & Rolf, Missoni, Marc Jacobs). Azienda atipica come il suo fondatore Max Barenbrug, che si aggirava per il museo in tuta mimetica, uno che allargando le braccia ammette che la sua carica ufficiale nell’azienda, quella di «ceo» (amministratore delegato) è «un’americanata» perché lui continua a ragionare da designer, che è vero che i suoi passeggini costano più degli altri «e capisco quei clienti che li comprano usati», l’ingegnere tramutato in manager per necessità al quale si illuminano gli occhi quando parla di Steve Jobs.
Perché l’olandese Bugaboo (produce in Cina con uno stabilimento di proprietà, senza passare per terzisti, «una decisione che ha cambiato tutto per noi») è una start-up di passeggini nati dall’idea di un uomo che allora non aveva figli: attenzione al packaging «perché siamo un’azienda di mezzi di locomozione, di mobilità urbana, più che di passeggini».
Mobilità urbana o no — viene da pensare, parlandogli, che a Barenbrug divertirebbe disegnare un bolide da Moto-
I fiori di mandorlo che il pittore dedicò al nipote neonato finiscono sul Bugaboo
GP in galleria del vento — è il passeggino che piace a Gwyneth Paltrow e alla duchessa Kate. Si capisce come la strategia sia in linea con quella della Apple: prendere un bene normalmente scelto per la sua utilità — un computer, un telefono, un passeggino — realizzarlo con un design innovativo e curato maniacalmente — e commercializzarlo poi come un bene di lusso (vedi, per quanto riguarda la Apple, l’evoluzione del iPhone, la nascita dell’orologio e l’aggressivo reclutamento di manager provenienti dalla moda di serie A, da Burberry a Saint Laurent, con sempre più potere allo stilista Marc Newson).
E pensare che Bugaboo è nata grazie all’investimento dell’ex-cognato di Barenbrug perchè, come succede a volte agli innovatori, nessuna azienda del settore voleva investire sul loro bizzarro progetto. Decisero di realizzarlo in proprio.
mpersivale